Talk to Me | Recensione

Ultimamente sembra che le produzioni low budget siano divenute il nuovo standard di qualità; numeri alla mano naturalmente non è proprio così, tuttavia la sensazione va in questa direzione; una percezione avvalorata da quella fornace di radical chic della A24, che realizza film sì costosi, ma piuttosto lontani dai budget tripla A hollywoodiani. E se pensate che per produrre qualcosa di memorabile non si possa declinare oltre una certa soglia di budget vi sbagliate, il cinema sbuca dalle fottute pareti da ogni dove, anche con piccoli-grandi film come The Vast of Night, Barbarian, Skinamarink, per non dimenticare poi certi cult movie del passato quali The Blair Witch Project e Paranormal Activity, quest’ultimo addirittura costato 15 mila dollari.

Oggi è il momento di Talk to Me, che con i suoi 4,5 milioni di dollari ha già incassato al box office una bella cifretta; un horror che proviene dall’Australia, paese che ha già dato i natali ad altri titoli cruenti più o meno conosciuti.

Talk to Me è stato presentato a Cannes con apprezzamenti da parte di critica e pubblico, tra l’altro definito da più parti come l’horror dell’anno. Adesso non so dirvi se lo sia (non credo), ma è indubbia la ventata di freschezza scaturita dai fratelli Philippou, due giovani youtuber che hanno iniziato la loro carriera fin da giovanissimi filmando incontri di wrestling amatoriali, e oggi al primo lungometraggio. Giovani content creator che per ovvie ragioni anagrafiche conoscono meglio di altri registi – più navigati – lo zeitgeist dei giorni nostri, e si vede.

Andiamo al sodo, il piatto forte di Talk to Me è l’IDEA: sedute spiritiche e possessioni non convenzionali, mostrate non come il solito momento clou con la sacralità e la serietà che gli si addice, ma come un momento di sballo durante le feste in casa tra amici; quasi come un gesto di ribellione adolescenziale, un’esperienza simile all’assunzione di funghetti allucinogeni. Grazie a una buona regia la storia riesce a divertire senza troppa fatica. Un guizzo narrativo che funziona, e che giustamente si è evoluto prima in una sceneggiatura e dopo in un bancomat. La prima parte del film funziona e convince con divertimento assicurato, poi però, ahimé, segue strade già battute da miriadi di horror, perdendo il mordente proprio nel momento in cui dovrebbe spingere con delle spettacolari pirouette, e tutto a causa di una povertà di idee che non supportano l’idea forte iniziale, come un brainstorming interrotto da un coito per l’eccitazione iniziale. Però bella la scena finale.

Pubblicizzarlo come horror dell’anno non lo ha certamente favorito nel giudizio complessivo, ed è più probabile che da perfetto sconosciuto sarebbe salito qualche gradino in più da queste parti, senza dare troppo peso agli aspetti più deboli, ma così è. In ogni caso buona la prima per i fratelli Philippou, adesso auguriamoci che il prossimo sia migliore, e soprattutto più costante dall’inizio alla fine. Si dice che per un regista la svolta della vita si ottiene con il secondo film, perciò vedremo, noi siamo già qui ad attendere un’altra magia.