Mortal Kombat | Recensione

 
Prima Street Fighter e dopo Mortal Kombat, due titoli entrati nella storia dei videogame per aver diffuso l’idea che picchiarsi sia una pratica da galantuomini. A dispetto dei suoi rivali Mortal Kombat si distinse fin da subito per una sana e genuina violenza, creativa e piuttosto esplicita, mai vista fino ad allora agli occhi di un videogamer, con le mitiche fatality a soddisfare i palati più raffinati. 
L’estetica e le atmosfere di MK si ispirano ai più disparati generi cinematografici, dalla filmografia di Bruce Lee e di Wes Craven alle pellicole più pop come Grosso Guaio a Chinatown, quest’ultimo per stessa ammissione dei creatori Ed Boon e company. Similitudini che probabilmente contribuirono al successo di MK, tanto che anni dopo venne alla luce la sua controparte cinematografica, che a suo modo ha fatto la storia dei tie-in. 
 
Mortal kombat recensione
 
Alla regia di Mortal Kombat c’era un giovane e sconosciuto Paul W.S. Anderson, famoso ai più per aver diretto la saga di Resident Evil, e dopo aver diretto Event Horizon. Nel cast vi è quel francesino di Christopher Lambert truccato da sacerdote di Scientology, e Cary-Hiroyuki Tagawa nel ruolo di un convincente Shang Tsung. Ma il vero non plus ultra di MK sono gli stunt man assoldati per picchiarsi di santa ragione (per finta eh), a cui giustamente viene lasciato tutto lo spazio necessario per cogliere il vero spirito di MK, con una regia impegnata a spettacolarizzare al massimo l’aspetto coreografico. D’altronde i match rappresentano il core business di MK e da questa prospettiva il film non delude le aspettative, tanto che ancora oggi possiede alcune delle migliori scene de menare mai viste sul grande schermo, grazie anche al contributo di una soundtrack tamarissima che ancora oggi si può ascoltare con il solo ricordo.
Purtroppo le buone notizie finiscono qui dato che tutto il resto rientra nella categoria dei B-Movie dozzinali, commestibile solo al fandom di MK al quale non gliene può fregare di meno se la sceneggiatura possiede lo spessore di un foglio A4. Nei fatti Mortal Kombat è un colossale fan service che soddisfa la voglia di sangue del suo fandom, nonostante il gore sia al minimo sindacale. Uno spettacolo allestito per vedere i propri idoli picchiarsi senza un domani.
 
 
Spiace che non abbiano avuto l’accortezza di realizzare un titolo più comprensibile al pubblico mainstream, anche come giustificazione per dare più contenuto a un titolo che non va oltre la sua soundtrack iper-grezza. Tuttavia siamo contenti dell’esistenza di questo MK e del fatto che qualcuno abbia pensato di fare la felicità di una generazione cresciuta a pane e videogame, rimasta in lutto dopo quello schifo di Street Fighter, probabilmente uno dei peggiori film degli anni ’90.
Lunga vita a Mortal Kombat. 

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