
Si parla sempre troppo poco di Michael Mann, nonostante sia uno dei più grandi cineasti di tutti i tempi, qui lo dico e qui lo ribadisco. Un regista che sa il fatto suo praticamente da quando è nato. Maniacale fino all’osso, aspetto che si evince da un notevole gusto per la composizione delle inquadrature (mai darlo per scontato); capace di immergerci nel suo mondo, che poi è anche il nostro, dato che possiede una visione del mondo spudoratamente realista. Tra l’altro successivamente canalizzata verso altri registi nella forma e nella sostanza. Michael Mann è un maestro indiscusso nel plasmare atmosfere urbane e notturne, un’assioma che ci aveva già sbattuto in faccia in modo palese con Heat o Collateral, ma in realtà è un talento che possiede fin dagli inizi della sua carriera, dal cinema finanche la TV.

Miami Vice, uscito nel 2006, rappresenta senza dubbio uno dei più imponenti esercizi di stile di Mann. Tuttavia, e lo diciamo subito, nonostante le ottime premesse, questa volta la bellezza visiva di Miami Vice è al servizio di una narrazione sterile, senza pathos, né divertimento. Infatti se da un lato Mann prova in tutti i modi di trascinarci in un universo di illuminazione al neon, lusso e narcotraffico internazionale, dall’altro lato non c’è una storia che in teoria dovrebbe avvincere e coinvolgere, ergo ne deriva una noia pervasiva di due ore e passa. È un film che si guarda e basta, un po’ come un manuale di tecnica cinematografica, senza però riuscire a immergerci in quel mondo. Un’esperienza visiva che si limita a un racconto piuttosto didascalico di gente che parla e fa cose. Non si tratta di una noia derivata dalla lentezza in sé, ma di una sensazione di stasi narrativa. A tratti sembra di guardare un episodio random della serie TV da cui trae origine, uno di quegli episodi senza infamia e senza lode, senonché qui è anche assente quell’estetica lì che ci faceva volare grazie a spiagge, Ferrari, e tramonti vaporwave.

La romance, che dovrebbe essere il motore della narrazione, è ridotta a una serie di scene patinate, a tratti simile a una soap opera sudamericana. La stessa dinamica tra Colin Farrell e Jamie Fox è piuttosto negletta, quasi insignificante, fatta di dialoghi freddi e semi-citofonati, lasciando un po’ di amarezza laddove ci si aspetterebbe un po’ di sano cameratismo e una certa dose di ironia che magari avrebbero potuto bilanciare il tono generale con un po’ di verve, o perlomeno renderlo più commestibile sul piano del mero intrattenimento.
Miami Vice è un film che dimostra tutta la maestria tecnica di un cineasta gigantesco qual è Mann, ma che fallisce in tutto il resto. Certamente non basta questo per farmi cambiare idea nei confronti di una carriera invidiabile e ai più inarrivabile, però la delusione resta.