Alien Covenant | Recensione

In principio fu Alien, classe 1979, pietra miliare della fantascienza, dell’horror, e probabilmente dell’intera settima arte. Un vero è proprio spartiacque della fantascienza, sì avete capito bene: c’è un prima e un dopo Alien. 
Il primo Alien era un film claustrofobico, tetro, sporco, implicitamente sessuale, quasi esoterico. Una ventata d’aria fresca per l’epoca, non a caso ha fatto scuola con decine di film che successivamente hanno provato a imitarlo e rubargli pezzi qui e lì, tuttavia con risultati mediamente piuttosto discutibili.
L’arcano mistero della genesi di questo terminator biologico rimanda a potenti suggestioni, insieme all’idea di un coinvolgimento di una misteriosa civiltà extraterrestre, ragione per cui è naturale che avremmo voluto saperne di più…o forse no.
Resta il fatto che un giorno il caro Ridley Scott, dopo una lunga serie di film realizzati senza cognizione di causa, decide di riprendere il franchising del suo capolavoro, ma stavolta per vie indirette, ovvero tramite la realizzazione di uno prequel-no-prequel; in ogni caso qualcosa legato all’universo stilistico di H.R Giger
È l’inizio del progetto Prometheus. A differenza di molti non reputo Prometheus lammerda, anzi stilisticamente è come pochi, vale la pena guardarlo e capire perché Ridley Scott è giustamente definito da molti come un visionario, oppure come il più grande scenografo vivente. Oltretutto se chiudiamo un occhio su alcuni momenti malriusciti, resta uno sci-fi piacevole, e a tratti anche di grande cinema. Il suo maggior difetto rimane di trovarsi in quel limbo di essere non si sa cosa, poiché sebbene non sia dichiaratamente un prequel di Alien, i collegamenti sono lì presenti, appiccicati a sputi, una palla al piede che non gli lasciano la possibilità di essere un’opera a sé stante. 
E arriviamo all’inversione di rotta, Scott dichiara in un’intervista di aver sbagliato i calcoli con Prometheus, dunque cambia idea e fa il seguito di Prometheus, ma stavolta realizzando un vero prequel di Alien. Insomma: bella minchiata.
E allora com’è questo Alien Covenant? Carino.  Tutto qui? Sì.
Come il predecessore, stilisticamente lascia a bocca aperta, e su questo non avevamo dubbi; i problemi sono altri. Difatti la storia segue gli eventi di Prometheus, spiega l’origine degli xenomorphi, infine dei cosiddetti ingegneri; il punto però è di quelli dolenti, dal momento che le idee scarseggiano, e nulla è davvero sorprendente; poche rivelazioni che potrebbero essere raccontate in dieci, e dico dieci, minuti.
Covenant eguaglia Prometheus sul piano della scrittura, con personaggi bidimensionali e piuttosto irrilevanti di cui non frega niente a nessuno. Inspiegabilmente sono state aggiunte delle notevoli differenze riguardo il periodo di gestazione di nascita degli xenomorphi; sembra una roba di poco conto, ma quando viene cambiato il canone di una saga è sempre un brutto colpo diretto alla sospensione dell’incredulità. Questo è male. 
Uno degli aspetti più riusciti sono i mostriattoli in azione, finora i migliori tecnicamente realizzati, e basta; a ‘sto giro accontentiamoci di poco. Il finale di Covenant ci lascia ben sperare per il prossimo capitolo (sempre se ci sarà un prossimo capitolo), poiché ci offre qualche indizio che può rivelarsi l’arma giusta per affrontare la conclusione della saga con qualcosa sulla falsariga di quel capolavoro Aliens – Scontro Finale di James Cameron. Cineasta non a caso da sempre detestato da Scott.
Chi vivrà vedrà, ma non saprei dire con quanta fortuna.