Il thriller è uno dei generi più amati dal pubblico generalista, non a caso la cronaca nera rimane il deus ex-machina dei palinsesti televisivi per ottenere del facile audience. Esistono perfino reti televisive che trattano esclusivamente questo tema in tutte le sue sfaccettature, c’è di tutto: omicidi di mafia, omicidi passionali, persone scomparse. In questa simpatica lista degli orrori i serial killer possiedono un posto privilegiato della classifica. I motivi non sono ben chiari, probabilmente tale figura ha un qualcosa concernente la mitologia contemporanea. Difatti i serial killer sono comunemente percepiti lontani dalla nostra quotidianità, ma allo stesso tempo c’è la consapevolezza che essi esistano e si annidano tra noi, apparentemente simili a chiunque altro.
Sebbene ci sia tanto materiale per affrontare un tema del genere, non si può dire altrettanto che sia semplice scrivere un thriller basato sull’omicidio seriale, poiché nonostante ne esistano molteplici e di vario tipo, spesso peccano di una banalità che si annida negli archetipi del genere.
Fortuna che poi arriva un certo David Fincher a rimettere tutto in discussione, pronto a traghettare il thriller su un altro livello, più introspettivo, probabilmente rivolto anche a noi. Il suo Zodiac è la dimostrazione che un genere cinematografico può sempre sperimentare nuovi confini quando lo vuole.
Zodiac si ispira alla storia dell’omonimo serial killer che negli anni ’70 lasciò una lunga scia di sangue in California. Protagonisti del film sono un cronista, un vignettista e un investigatore, come una barzelletta, ma realmente esistiti. Persone che impegnarono buona parte della loro vita a scovare l’identità di Zodiac, malgrado le indagini non portarono a nessun risultato, se non ad alcuni pochi sospettati.
Ma al netto della cronaca in sé, ciò che fa la differenza rispetto ad altri film del suo genere è una struttura lontana dai soliti cliché. Benché Zodiac sia un thriller, lo rimane finché non si prende coscienza che in realtà Zodiac è un’opera incentrata sulle vite di chi si occupa delle indagini, e non del serial killer, in un capovolgimento spettacolare incentrato sulla psicologia e le ossessioni di chi per anni ha tentato di svelare (senza successo) l’identità di zodiac, anche a costo di perdere tutto, sanità mentale compresa.
Indirizzandoci su questa logica l’opera di Fincher parla indirettamente anche a noi spettatori, morbosi di conoscere le vite altrui e osservarne dalla finestra le loro disgrazie, trattandoci così alla pari di un lettore di Cronaca Vera. Se Zodiac sia un thriller o meno poco importa.
David Fincher, prima con Seven e successivamente con questo Zodiac, ci ha nuovamente dimostrato di essere uno dei migliori cineasti sul campo dell’analisi perversa dell’intimo umano. Una “ricerca del male” che ancora oggi continua con la serie Mindhunter. Chapeau.