Se vuoi bene al cinema vuoi bene anche a M. Night Shyamalan, perché sì, perché le sue storie emanano suggestioni da tutte la parti, e d’altronde sono le suggestioni che ci spingono a pagare il biglietto per una serata al cinema, così giusto per staccare la spina per un po’, altrimenti che serve vedere un film?
Come sanno pure le pietre la carriera del nostro è stata piuttosto turbolenta e altalenante. Per anni considerato il nuovo Spielberg, poi a causa di una serie di scelte infelici, come egli stesso ha ammesso, è caduto quasi nel dimenticatoio, infine è riuscito a risalire la china con produzioni più intime e dal budget relativamente contenuto come The Visit, l’abbiamo già scritto da queste parti. Però stavolta con Trap Shyamalan cerca di tornare ai fasti di un tempo con un progetto un po’ più ambizioso, se ci sia riuscito è tutto da vedere.
Shyamalan è sinonimo di plot twist, ci ha proprio costruito una carriera, quasi ci si resta di sasso se non c’è, tuttavia qui non c’è nessun colpo di scena, o meglio, arriva subito, sebbene fosse chiaro dal trailer, oltreché spiattellato nelle interviste. Poi ne arriverà un altro, ma non così incisivo da stravolgere l’intera sceneggiatura. Quindi no, nessun plot twist, fin dall’inizio ci viene detto che l’assassino è il protagonista. Allora perché continuare? Ma sì dai, che importa.
Ma cos’è ‘sto Trap? Di che parla? Un thriller certo, ma per certi versi è anche un film introspettivo buono per tutte le stagioni. Senza troppo giocare con la fantasia qui c’è pura psicoanalisi nel rapporto tra raziocinio e istinto primitivo, vita e morte, Eros e Thanatos. Un dualismo in carne e ossa, presente nella figura del nostro assassino, appassionato di macelleria a quanto pare. Ebbene, nella prima parte Trap ruota tutto intorno a questo binomio psicologico padre di famiglia/serial killer, interpretato da un convincente – per la prima volta – Josh Hartnett. Tanto convincente che il film regge tutto sulle sue spalle, e ovviamente non è una buona notizia.
A mister Shyamalan tutto gli si può ricriminare eccetto che non abbia delle gran belle intuizioni di scrittura, sicuramente nelle premesse, meno nell’esecuzione però. Non a caso, e non è la prima volta nella cinematografica del regista indiano, anche Trap perde di interesse – ma anche di credibilità – già poco dopo le prime fasi iniziali. Le idee non bastano, perché poi bisogna saperle concretizzare per bene, soprattutto. A un primo atto interessante – sebbene con qualche forzatura di troppo – ne segue uno meno convincente, per poi svaccare al terzo atto in cui Shyamalan chiede una fiducia cieca alla sospensione dell’incredulità fuori dal buon senso. La magia del cinema sta nell’immergere la gente in un mondo di unicorni cannibali, ma per far funzionare l’intera baracca bisogna piazzare sul terreno i giusti paletti fin da subito, un processo di costruzione che qui però non c’è, cosicché non si spiega perché il nostro serial killer di fiducia diventi una specie di Rambo della giungla urbana, oltretutto in un mondo di cretini che si fanno raggirare con due parole. Non proprio il massimo.
Spiace perché le premesse erano ottime, dal trailer questo Trap rimandava alla memoria, perlomeno nel concept e per atmosfere, al meraviglioso Omicidio in Diretta di Brian de Palma, e invece non gli si avvicina minimamente. Tra l’altro a momenti sembra di guardare uno showreel della figlia di Shyamalan che canta e balla e fa cose.
E va beh. Boh. Una delusione.