The Watchers | Recensione

The Watchers Recensione

Da queste parti di M. Night Shyamalan ne abbiamo già parlato piuttosto ampiamente, e più volte abbiamo anche ricordato la sua ascesa nell’olimpo, caduta negli inferi, e infine il ritorno in auge con film piccoli ma discreti. Adesso accade che la sua emanazione corporea nello show business si sia estesa con la prole. Abbiamo già avuto modo di conoscere Saleka N. Shyamalan in Trap, mentre adesso tocca all’altra figlia, Ishana, al suo debutto cinematografico come regista di The Watchers – Gli Osservatori. Classico caso di nepotismo? Sì lo è, ma che ci volete fare, così vanno le cose, l’esistenza e l’universo.

The Watchers è un horror oltremodo shyamaliano, contiene tutti gli stilemi del cinema del capostipite di famiglia: dalla regia alla fotografia, finanche le facce da ebete dei protagonisti. Esattamente come la filmografia del padre anche qui siamo di fronte alla messa in scena di una favola, storie nel quale il rapporto causa-effetto trova una soluzione coerente solo nell’immaginazione di chi la scrive. Favole dicevamo: Oggi c’è il bosco e il folklore irlandese, e domani chi lo sa, magari ci racconteranno del famigerato Mario er zozzone. Noi ci speriamo.

L’Irlanda; I boschi; la gente scema. In alcuni momenti The Watchers ricorda il mai troppo citato The Village, forse la miglior opera del cineasta indiano. Fin dai tempi di The Blair Witch Project i boschi sono diventati un luogo dello spirito dove ci si perde, letteralmente, con la psiche e il corpo. Luoghi perfetti dove geolocalizzare la concretizzazione di un incubo, e Miss Shyamalan ovviamente non ha perso tempo: alla sua prima opera si è lanciata a capofitto proprio qui, dove il cielo viene meno e i suoni diventano sinistri. The Watchers per certi aspetti rientra nella categoria degli Home Invasion, in un i protagonisti vivono in un perenne senso di oppressione da parte dei propri carnefici, rinchiusi e circondati all’interno di un luogo, che sia una casa o più metaforicamente la propria intima sfera privata.

È un debutto tutto sommato discreto, funziona, tuttavia appare per quello che è: un horror puramente derivativo, da padre a figlia. Non c’è niente di male, il fascino di quel cinema lì rimane unico nello stile, tutto grazie a M. Night Shyamalan a cui va dato il merito di averlo plasmato dal nulla come sanno fare solo i grandi artisti, malgrado siano passati tanti anni e indubbiamente non fa più presa come una volta. D’altronde i tempi sono cambiati e oggi c’è più competizione, rispetto agli anni de Il Sesto Senso l’horror mainstream nel frattempo è mutato, si è elevato, sempre se di mainstream possiamo parlare. Se lo dice da solo: “elevated horror“. Un genere passato dal proletariato a un master in filosofia a colpi di metaforoni. Però ricordiamoci sempre chi è stato tra i primi pionieri.

Non si nasconde dietro un dito, il debutto di Ishata segue pedissequamente le orme del padre con un copia-incolla spudorato, quando invece sarebbe stato preferibile, per lei e per noi, cercare una sua personale firma. Perfino i difetti di trama riprendono gli errori del genitore, perché alla fine si svacca un po’ anche qui. Sarà un vizio di famiglia. Ad ogni modo buona la prima, ok, ora però è giusto che i figli prendano la propria strada.

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