Giocoforza Tenet era il titolo che tutti aspettavamo, per varie ragioni, innanzitutto perché ogni uscita di un film di Christopher Nolan è un evento già di suo, piaccia o meno il regista inglese rimane pur sempre oggetto di discussione, come d’altronde avviene da una decina di anni. Discussioni già iniziate dopo l’uscita del primo trailer, nonostante si capisca meno della metà di un teaser-medio. Confusione rafforzata dalle dichiarazioni di chi vi ha partecipato e che lasciavano presagire una certa complessità di fondo del plot, tanto che alcuni di essi non hanno nemmeno ben capito il loro ruolo nella storia durante le riprese, true story. E infine non dimentichiamo come Tenet abbia molto fatto parlare di sé per i continui rinvii della sua data di uscita a causa della pandemia. Adesso si spera in un suo successo ai botteghini per la ripartenza di un settore che ha subìto un danno economico incalcolabile. Per tutte queste ragioni Tenet rappresenta già l’evento cinematografico dell’anno, oltre a essere, almeno nelle intenzioni, una delle opere più ambiziose del cineasta inglese.
Potremmo definire Tenet come una spy-story sci-fi con la più classica delle storie: salvare il mondo. Ma da chi e come? Qui entra in gioco la scienza ai confini della realtà, nel quale vengono miscelati aspetti come il principio di entropia e i paradossi temporali, pertanto entriamo nel campo della speculazione scientifica tanto amata da Nolan.
Tenet è come un giro di montagne russe che vanno avanti e indietro, oppure come un giro dentro una lavatrice in funzione. Tenet richiede una soglia di attenzione sopra la media per essere pienamente compreso, o almeno in apparenza, poiché in realtà possiede inaspettatamente una storia piuttosto comprensibile una volta arrivato ai titoli di coda, in cui lo stesso Nolan non sembra intenzionato a lasciare nessuna libertà di interpretazione, come invece è accaduto altrove in altro suoi film precedenti, e di ciò gliene siamo grati dal momento che la semplicità paga sempre.
Come al solito la messa in scena in campo del regista inglese è da standing ovation in ogni suo aspetto: dalla regia alla fotografia, ma è soprattutto nel montaggio che il cineasta inglese dà il meglio di sé, un lavoro di post-produzione che fa apparire Tenet come un manuale di montaggio video avanzato per aspiranti alchimisti, malgrado questo taglia e cuci forsennato renda poco chiari alcuni passaggi.
Siamo di fronte un capolavoro? Forse no, data l’onnipresenza delle stesse criticità che affliggono l’intera filmografia di Nolan fin dagli albori, come ad esempio una mancanza di empatia con lo spettatore; sotto-trame appiccicate; e spiegoni non sempre necessari. Ciononostante Tenet rimane uno spettacolo avvincente e convincente che ad ogni modo sa coinvolgere lo spettatore.
Tenet è un’opera impegnativa, che richiede una continua attenzione, e ciò non gioca sempre a suo favore, ma ad ogni modo vale il prezzo del biglietto solo per avere un’idea di cosa sia il cinema quando è nelle mani di chi continua, con una disciplina mentale invidiabile, a proiettare la settima arte al limite del possibile.