Attenzione, spoiler subdoli.
La vita molto spesso è dura da affrontare, come ben sanno tutti coloro che conoscono il vocabolario delle frasi medie, ciononostante nei momenti più difficili ci accompagna sempre l’idea che prima o poi arriveranno momenti migliori, malgrado la consapevolezza dell’impossibilità delle circostanze. Una labile speranza di cui abbiamo sempre bisogno, anche di fronte l’ineluttabilità della morte, nonostante quel giorno sia sempre lì ad attenderci. Ma al netto delle illusioni che riguardano il futuro, c’è anche chi guarda al passato, e cos’è peggio rispetto al rimorso di una vita non-vissuta?
L’ultima opera di Charlie Kaufman (sceneggiatore di Essere John Malkovich e Se Mi Lasci ti Cancello) è impegnativa come poche sia per gli argomenti trattati e sia per quanto concerne l’opera in sé, di non facile visione. A partire dai dialoghi, semplici ma allo stesso tempo sofisticati, e soprattutto onnipresenti, nel quale pensieri e i sentimenti sono continuamente esplicitati a parole come se il silenzio non fosse nemmeno contemplato. Dialoghi stranianti, frasi ripetute, momenti che chiedono una spiegazione. Tuttociò possiede un’unica chiave di lettura, la più indigeribile.
Sto pensando di finirla qui è il racconto di una vita di rimpianti: per non averci provato con quella ragazza incontrata molto tempo fa; per quegli studi mai completati; il sogno di una carriera di successo mai concretizzata. Una chiave di lettura mostrata letteralmente in scena mediante un cambio di prospettiva spettacolare e infine con un musical (sì, un musical), sebbene per buona parte del tempo il film appaia come un thriller dalle tinte horror, con la stessa carica negativa dei pensieri di un aspirante suicida.
Come nei sogni anche qui lo spazio e il tempo si separano e si rincontrano apparentemente senza cognizione di causa, e nel film ciò viene mostrato tramite una fotografia che cambia repentinamente illuminazione in funzione di uno stato d’animo in subbuglio, nel contesto di una psiche vivisezionata e rappresentata come un puzzle di memorie e sogni mai realizzati.
Al netto del contenuto, l’opera di Kaufman è anche un film di scene memorabili, a partire dalla cena in famiglia, ove il DISAGIO è palpabile e Toni Collette spadroneggia in ogni singolo fotogramma. Inquadrature suggestive sono accompagnate da immagini altrettanto pittoresche e bucoliche. Non è un’opera di semplice visione, ma è consigliatissimo per provare ogni tanto qualcosa di differente.