Robocop, metà uomo e metà macchina, è il tecno-poliziotto prodotto dalla multinazionale Ocp per difendere Detroit dalla criminalità dilagante. Ma per ironia della sorte la Ocp è anche il centro di gravità sul quale ruota tutta la corruzione e il malaffare della città in cui il più buono dei dirigenti della Ocp è un cocainomane arrivista senza scrupoli (interpretato da Miguel Ferrer, pace all’anima sua). Circostanze che rendono Robocop una vergine dentro un bordello.
Nel 1987 Paul Verhoeven mette a segno con Robocop un successo commerciale di proporzioni gargantuesche, nonostante l’iniziale diffidenza del regista olandese a prendersi carico della sceneggiatura, che alla fine cambiò idea grazie all’opera di persuasione della moglie e la consapevolezza che alle spalle vi era una produzione di tutto rispetto, difatti le aspettative della Orion Pictures per tale progetto erano piuttosto alte (tra l’altro è la stessa casa di produzione del primo Terminator) tanto da voler Arnold Schwarzenegger nel ruolo principale, idea però naufragata fin da subito per l’opposizione dello stesso cineasta a causa dei problemi tecnici che ne sarebbero derivati dell’imponente stazza del bodybuilder austriaco per permettergli di indossare il costume di Robocop. Proprio per tale ragione in seguito la scelta ricadde sul più smilzo Peter Weller in virtù della sua bocca pronunciata, ovvero quell’unica parte del corpo in mostra per la maggior parte del minutaggio.
Per certi aspetti Robocop rappresenta un successo commerciale atipico, difatti sebbene per la maggior parte di chi l’ha visto resta il ricordo di un action con un robot realizzato dal mago degli effetti speciali Rob Bottin (nomen omen), in realtà sotto quella patina mainstream si cela un’arguta satira politica capace di schernire una società basata esclusivamente sul capitale, e dove per assurdo l’ordine pubblico viene gestito da una multinazionale che trae profitto dall’edilizia speculativa e dalla fabbricazione di armamenti militari. Ragione per cui l’opera di Verhoeven non può essere confinata nella giungla urbana di Detroit, ma raffigura un intero sistema politico portato alle peggiori estreme conseguenze.
Sarcasmo, ironia, satira, e infine molta violenza, il cinema di Verhoeven guarda altrove a dispetto dei suoi colleghi d’oltreoceano. La violenza, piuttosto esplicita tramite alcune scene rimaste impresse nella memoria, è insita di una società alla deriva, ma di fatto non ne compromette le fondamenta giacché qualsiasi notizia viene cautamente assimilata dalla cittadinanza senza eccessivi scossoni, e ciò avviene tramite un processo sistematico di desaturazione attraverso il filtro apatico dei canali di informazione. La prospettiva di Verhoeven si orienta verso una visione cinica e ironica della realtà piuttosto rara nel panorama sci-fi e action.
Lo straordinario successo di Robocop gli diede fin da subito lo status di cult e di icona pop tanto che in quegli anni la sua immagine venne piazzata ovunque: zaini per la scuola, chewing gum, figurine, ecc., e naturalmente giocattoli, con action figure come se non ci fosse un domani, sebbene tuttavia non si possa considerare nemmeno una pellicola propriamente adatta ai ragazzini. Ciononostante in quel periodo Robocop divenne il nuovo prodotto made in Hollywood da sfruttare fino all’osso a scopi commerciali fino a inflazionarne la sua immagine seriosa di grande opera contemporanea. E inoltre non si può dire che i due sequel ne abbiano migliorato la situazione poiché non possiedono un grammo dell’intelligenza di Paul Verhoeven. Fortuna che i capolavori non si dimenticano mai e pertanto il ricordo del primo Robocop è ancora presente tra noi, anche grazie a quella soundtrack indimenticabile, ma soprattutto perché in ogni caso: “Vivo o morto tu verrai con me“.