Rambo – Last Blood | Recensione

Con la notizia di un nuovo capitolo di Rambo immaginavamo anche l’arrivo di un film simil-Logan, ovvero la storia di un ex-eroe vecchio, rancoroso, senza più voglia di vivere. Ciò considerando anche l’età di Stallone con i suoi over 70 suonati. E invece no, ci sbagliavamo, perché Rambo non si arrende alla vecchiaia, Rambo subisce i colpi, li assimila e poi te li ritorna con un machete in gola. Cazzogliene della vecchiaia a Stallone, con la sua faccia più deformata di Sloth.

Sono passati trentasei anni dalla prima apparizione di questo reduce del Vietnam, sconfitto e perseguitato dalla propria nazione, sconvolto psicologicamente e umanamente da una guerra che gli ha portato via l’anima. Dopo tanti decenni John Rambo non è ancora uscito da quel tunnel, anzi con la vecchiaia pare abbia accumulato una rabbia repressa che quando esplode estrapola un cuore dal torace battente bandiera messicana. E a proposito di quest’aspetto, Rambo – Last Blood è indubbiamente il capitolo più sanguinario dell’intera saga. A tratti ricorda un po’ Non aprite quella porta, un po’ Taken, e un po’ Mamma ho perso l’aereo (vedere per capire).

Stallone è famoso anche per dire tante scemenze e promettere roba a caso, ma stavolta ha davvero mantenuto la promessa dopo il flop de I Mercenari 3, difatti Last Blood è un action/splatter in un modo così crudo che da un autore/attore come lui, sempre pronto a somministrare messaggi positivi, non te l’aspetteresti. 

Però siamo sinceri: Last Blood non è proprio un gran film, e probabilmente senza Stallone sarebbe finito nel dimenticatoio prima ancora di giungere nelle sale, o al massimo sarebbe finito nel mercato dei vhs per appassionati di vintage, magari accanto alla filmografia di Joe Dante. E’ un film lineare, prevedibile, scialbo, con una scrittura che a volte rasenta il ridicolo, insomma ci vuole un atto di fede per considerarlo uno dei titoli dell’anno. Ed inoltre nei momento in cui non c’è Sly diviene ancora più stucchevole, giacché la recitazione complessiva degli altri interpreti si basa sulle scuole di recitazione dell’università della strada. 

Sembra che nessuno abbia creduto a questo progetto, eccetto Stallone, unico che ha offerto tutto quello che poteva, con un finale che a mio parere non è malaccio e per certo aspetti memorabile per la saga, nel bene e nel male. Se solo l’avessero realizzato negli anni ’80 oggi staremmo a parlare di grande cult, ma i tempi sono cambiati, ed è necessario qualcosa di più per non rimanere intrappolati nel pantano del già visto.

Ciò che ho veramente apprezzato da questo quinto capitolo è proprio la figura di John Rambo, un uomo cupo e pieno di conflitti interiori, ma non eccessivamente nostalgico e rancoroso nei confronti di un presente che non gli appartiene, o di redenzione come spesso si chiede a chi giunge alla soglia della quota 100. Rambo vuol mostrarsi perciò che è sempre stato, non chiede compassione o di ammirarlo per i tempi gloriosi che furono, è un film orgogliosamente anacronistico. E ci vuole coraggio per un atto del genere, dal momento che il rischio di cadere nel ridicolo era dietro l’angolo. 

Rambo – Last Blood è un buon film, sincero, dai tanti difetti sia di scrittura che di un po’ tutto il resto. Ma Stallone rimane Stallone, e noi gli vogliamo bene così: ostinato e fortunato.