Piovono bot-zombie dal cielo come dei dannati kamikaze; si scorazza in moto come ai vecchi tempi; calci volanti frantuma-pilastri. Detto ciò dimenticatevi di quel Matrix adrenalinico rimasto nella memoria collettiva, fatto di latex e occhiali da sole in bullet time. I tempi cambiano, c’è chi si adegua e c’è chi dice la sua sullo status quo dell’odierna industria cinematografica, quest’ultima ormai sempre più aggrappata alle nuove tendenze dei social. Lana Wachowski torna con un manifesto contro il nerdismo imperante dei giorni nostri, mediante l’opera più anti-climax che speravo di vedere in questi tempi. Difatti con Resurrections la Wachowski si toglie più di qualche sassolino dalla scarpa con una leggiadria ammirevole, tramite un’operazione meta-cinematografica che decostruisce e sfotte con una certa autoironia anche la sua opera più celebre, dal momento che è rimasto ben poco di quelle previsioni fin troppo ottimistiche che Matrix elargiva in maniera messianica, perché nel frattempo è cambiato tutto, e i buoni propositi del world wide web e quell’aria di libertà che si respirava durante gli anni della trilogia sono svaniti a tutto vantaggio degli algoritmi e all’opinione del cinefilo nell’era dell’internet. Nonché prima fosse diverso da oggi, sebbene sotto altre forme, ma è indubbia l’accelerazione verso il prodotto usa e getta dal box office facile. Lana Wachowski è consapevole che questo ennesimo Matrix sia parte di quella matrice più grande che si chiama “riempimi di soldi, oh yeah”, e allora via con la sostituzione de “l’architetto” con “l’analista“, perché sì, Resurrections appare a tutti gli effetti come una seduta di psicoanalisi per comprendere cosa non sia andato per il verso giusto in questi anni di turbo-globalizzazione; qual è il rapporto tra noi e le nuove dinamiche del mondo circostante, e di conseguenza cosa sia cambiato nel rapporto cinema-spettatore.
Sebbene in Resurrections l’aspetto meta-cinematografico sia a tutti gli effetti il bazooka per sparare filippiche contro le storture del nostro tempo (ad essere sinceri fin troppo fastidiosamente accentuato), in realtà la vera “anomalia del sistema“, per dirla à la Matrix, è presente dentro un plot incentrato sulla ricerca dell’amore e di sé stessi, che in tal caso possiede anche una doppia valenza, poiché legato intimamente alla vicissitudini personali della sua regista. Una storia sentimentale d’altri tempi all’interno di un blockbuster tripla A è l’inaspettato, la variabile controcorrente di un mondo in attesa di un fantomatico supereroe alla ricerca di facili soluzioni nei confronti di una realtà composta da innumerevoli sfaccettature; soluzioni quasi sempre concepite per dar via a un conflitto contro il capo espiatorio di turno, e dove la diplomazia non è neppure contemplata. Tuttavia Matrix Resurrections mette da parte l’aspetto supereroistico/messianico dei suoi tempi migliori per raccontarci invece una storia tanto anacronistica quanto apparentemente nuova di questi tempi, tracannato volontariamente di pillole di nostalgia, perché a suo dire sono la miglior cura contro l’ansia e gli attacchi di panico, malgrado non servano a nulla.
Non è ciò che ci aspettavamo dal nuovo Matrix, ma forse è meglio così.