Il male assoluto nella storia dell’umanità ha assunto sembianze diverse per opera delle civiltà che per secoli lo hanno rappresentato nei modi più disparati, spesso in forma umanoide e ingannevole, come d’altro canto più volte ci ha fatto notare uno come William Friedkin, un cineasta piuttosto interessato all’argomento, prima con L’Esorcista e poi con Killer Joe. Nel corso degli anni Friedkin probabilmente si è ricreduto su alcune questioni, come ad esempio l’idea che urtare contro un texano con una coscia di pollo in mano non sia tanto meglio di una possessione da parte di qualche divinità sumera. Killer Joe è un bignami del Friedkin-pensiero, un luogo in cui qualsiasi sfumatura spirituale è soppiantata da una valle di lacrime di iper-realismo; una realtà in preda alle ansie e agli attacchi di panico, un mondo totalmente asettico e privo di qualsiasi barlume di speranza.
Tuttavia se (Killer) Joe Cooper rappresenta il male assoluto allora la società descritta da Friedkin è composta prevalentemente da quella banalità dello stesso male: redneck senza morale, inetti, idioti disposti a vendere la madre e sodomizzarsi a vicenda pur di accaparrarsi qualche dollaro in più da spendere in vizi capitali. L’inferno descritto da Friedkin fa schifo al cazzo perché non è poi così distante da determinati contesti socio-economici. Friedkin piazza un fermo immagine di un universo sociale alla deriva, tramite una suggestiva, quanto cruda, rappresentazione cinica della realtà. Uno spaccato di mondo animato da poveri di spirito che declassano il nostro sicario in un povero diavolo circondato da homines sapientes che non possiedono la benché minima capacità cognitiva di distinguere il bene dal male. In tal caso Friedkin ci guida dentro un viaggio verso la distruzione finale di una famiglia distante anni luce dalla versione idealizzata della Mulino Bianco, d’altronde è l’unica destinazione possibile date le circostanze, una tensione crescente sino a un finale memorabile vita natural durante.
Oltretutto, è bene ricordarlo, Killer Joe rappresenta anche uno spartiacque della carriera di Matthew McConaughey, proprio quel McConaughey da tutti conosciuto per quel sufismo tex-mex in True Detective, l’Oscar con Dallas Buyer Club e i viaggi interstellari di Nolan, malgrado abbia passato gran parte della sua carriera a mostrare pettorali a destra e manca nel giro delle commedie sentimentali. Una bella storia tutta hollywoodiana.
In sintesi: Killer Joe è un noir dei giorni nostri con uno sputo di riflessione ermeneutica. Ciao.