Vi ricordate di Pennywise? Certo che ve lo ricordate, dopo la mini serie televisiva degli anni ’90 non avete più sorriso in presenza di un clown, neanche durante la festa di carnevale organizzata da un amico. Del resto è comprensibile giacché il clown di Tim Curry è indubbiamente uno dei personaggi più inquietanti della storia della televisione, secondo solo a Bob di Twin Peaks. Per questo motivo mi sembrava doveroso tornare sull’argomento del remake uscito lo scorso anno.
Sono passati molti mesi dall’uscita del film, ve ne parlo solo adesso per il semplice motivo che lo vidi al cinema con qualche settimana di ritardo e nel frattempo il web era già stato inondato da articoli che lo avevano analizzato da capo a fondo. A quel punto mi sembrò inutile continuare a parlarne. Ed inoltre fino adesso trovo difficile giudicare il valore di questo remake. Lo dico con un certo fastidio, dal momento che in un certo senso questa cosa mi fa sentire vecchio, come se non riuscissi più a percepire le dinamiche dei gusti del pubblico di oggi. Ma adesso (forse) sono pronto a parlarne.
Quando seppi dell’annuncio che la New Line Cinema stava per realizzarne un remake fui piuttosto entusiasta della notizia. Finalmente avrei potuto nuovamente incontrare il mio incubo d’infanzia e affrontarlo con un’altra consapevolezza. Inoltre sapere che dietro la regia c’era un certo Cary Fukunuga (True Detective) mi aveva esaltato come pochi. “Non solo il remake di It, ma persino con Fukunuga! questa volta non sarà il solito horror!” mi dicevo da solo come un’idiota.
Naturalmente, come spesso accade in quel di Hollywood, non andò tutto per il verso giusto. Dopo qualche mese dall’annuncio ufficiale del film arrivò anche la notizia dell’abbandono di Fukunaga dal progetto a causa di non ben precisate “divergenze artistiche” con la produzione. Dopodiché la regia passò al cineasta argentino Andrés Muschietti, regista dell’horror all’acqua di rose La Madre. Da lì in poi capì che a dispetto delle mie aspettative mi sarei invece trovato di fronte al solito horror. “Pazienza, è pur sempre il remake di It” dicevo, tra me e l’altro me.
Dopo questo lungo cazzomene veniamo al dunque: Com’è questo remake di It?
Come volevasi dimostrare siamo di fronte il classico horror senza infamia e senza lode. Partiamo proprio dalla figura di It: non è male, Bill Skarsgård fa la sua porca figura sotto il trucco di Pennywise, e poi il costume spacca. Però non scalfisce minimamente il ricordo dell’interpretazione sopra le righe di Tim Curry. La recitazione di Skarsgård è pulita, “professionale”, ma non colpisce lo schermo, e infine non fa nemmeno paura. Sarà che sono ormai adulto per sbigottirmi vedendo un horror, ma ad onor di cronaca quando vidi il film al cinema notai che nemmeno i ragazzini presenti in sala erano turbati più di tanto, anzi non avevano proprio nessun timore di Pennywise. Ricordo il ragazzino dodicenne accanto a me tranquillo come un bambino sotto effetto di morfina di fronte i Teletubbies. Il suo unico sussulto lo ebbe quando sentì pronunciare il nome della ragazzina: “ma Beverly non è il nome dello scooter?“. Va beh.
Per vari motivi, tra i quali anche il fatto che erano altri tempi, nel confronto tra i due Pennywise vince a mani basse quello di Tim Curry. Però è importante ricordare che la presenza di quest’ultimo nel cast era l’unico elemento ineccepibile in confronto a tutto il resto del film, che a malapena raggiungeva la sufficienza. Aggravato da una recitazione complessiva pressoché mediocre. Da questo punto di vista per Muschietti non è stato affatto difficile realizzare qualcosa di decisamente migliore su tutti gli aspetti.
Il nuovo It dimostra per tanti aspetti di essere in sintonia con i gusti del pubblico di oggi, non a caso le vicende di Derry sono ambientate nel corso degli anni ’80, periodo molto in voga grazie a serie tv come Stranger Things, a sua volta collegata con It tramite l’ingaggio dell’attore Finn Wolfhard.
Gli effetti speciali sono ottimi, anche se in giro c’è di meglio. Qualche scena strettamente horror funziona alla meraviglia. Pertanto nel complesso il film fa ciò per cui è stato pensato, eseguendo alla lettera il manuale del buon cinema horror. Ma il punto è proprio questo: non possiede nessuna sbavatura che lo rendano in qualche modo peculiare nel suo genere, manca il guizzo per fare il salto di qualità rispetto agli altri horror. Una circostanza che avrei potuto accettare di buon grado se non stessimo parlando di Pennywise, però così non è.
La mia modesta opinione è che sia stata un’occasione sprecata, poiché con una storia e un personaggio del genere potevano andare oltre il compitino del buon film horror. Si poteva e si doveva osare di più scegliendo un piglio differente dal semplice blockbuster mainstream. Offrendo magari anche qualche risvolto psicologico in più che avrebbe giovato ad arricchire l’atmosfera inquietante della cittadina di Derry.
Al box-office il film ha polverizzato il record dell’horror più visto nella storia del cinema detenuto in precedenza da Il Sesto Senso, con un incasso di oltre 700 milioni di dollari in tutto il mondo. Capisco che con questi numeri è difficile poter dire che abbiano sbagliato qualcosa, però non è tutto oro quello che luccica.