Quando Spielberg era considerato IL REGISTA i sogni diventavano realtà, col tempo la magia di Spielberg si è smarrita, sia perché la vecchiaia fa male e sia perché internet ha spazzato via quella genuinità di massa. Nella filmografia del regista di Cincinnati c’è la storia del cinema mainstream delle ultime decadi, tra i quali un’opera in particolare, sebbene malvista dallo stesso Spielberg per varie ragioni, ma rimasta impressa nella nostra memoria: Hook – Capitan Uncino, film del ’90 con un cast stellare di attori del calibro di Robin Williams, Dustin Hoffman, Julia Roberts, e Bob Hoskins. Tra i titoli di coda troviamo anche i nomi di George Lucas e Carrie Fisher (la coppia di innamorati sul ponte di Londra).
Hook non è solo un teen-movie, ma è anche portatore di un messaggio rivolto agli adulti, a chi nel frattempo è diventato genitore, poiché Hook affronta a suo modo il rapporto con i figli, un tema molto caro a Spielberg. Quest’architrave narrativa è rappresentata metaforicamente nella figura di un Peter Pan atipico, un adulto di mezz’età con una brillante carriera di avvocato alle spalle e una famiglia a cui dedica il tempo tra una causa processuale e l’altra (cioè nulla).
Il rapimento dei suoi figli da parte dell’acerrimo nemico di un tempo, Capitan Uncino, è il deus ex machina per tornare nuovamente nell’Isola che non C’è. Un viaggio destinato a riportare alla memoria il suo passato e cambiargli del tutto la prospettiva di vita.
Per certi aspetti la traversata verso l’Isola che non C’è è un’allegoria di un percorso interiore verso la riscoperta di ciò che siamo stati un tempo, sognatori spariti come lacrime nella pioggia. Da adulti abbiamo compreso come la realtà sia piuttosto distante dalle nostre aspettative di partenza, cosicché abbiamo fatto spazio al più becero cinismo. Ma Hook ci dice che quei ricordi e quella spensieratezza possono ancora sopravvivere se inoculati alle nuove generazioni, magari con lo stesso entusiasmo di un tempo.
Tuttavia Hook rimane una pellicola non particolarmente amata da Spielberg, a suo dire a causa di un realizzazione troppo sempliciotta e stilizzata. In effetti la messa in scena complessiva crea l’effetto tour per famiglie a Disneyland, oltretutto con una computer grafica scarna e scenografie smodatamente plastiche e artificiose.
Ciononostante a Hook – Capitan Uncino gli si perdona tutto, salvo in extremis da quel filtro nostalgia che attenua qualsiasi buco nero a salvaguardia dei nostri ricordi passati, intrisecamente legato dal fatto di averlo visto nell’età e nel periodo giusto, e nondimeno perché ci regala un pensiero felice (e nostalgico) ogni qualvolta lo rivediamo, e scusate se è poco.