Dite Tolkien e immagino le luci di Natale, cioè il periodo in cui per la prima volta mi catapultatai nella Terra di Mezzo, ormai secoli or sono, prima che uno sconosciuto regista neozelandese facesse conoscere nani e orchi al mondo intero. Personalmente lo ritengo ancora uno dei libri più belli che abbia mai letto dopo le istruzioni del Nokia 3310. L’Arrivo della trilogia jacksoniana fu una ventata di freschezza nel panorama hollywoodiano e un’accelerazione verso i blockbuster odierni, ma soprattutto ebbe il merito di aver traghettato il fantasy nei canali mainstream, una realtà che fino ad allora era segregata negli scantinati delle truppe cammellate di Dungeon & Dragon. Ragione per cui la notizia dell’arrivo di una nuova serie basata sugli scritti di Tolkien è stata accolta da mezzo mondo con urla di giubilo, sottoscritto compreso. Finita la prima stagione su Amazon Prime è arrivata l’ora di un primo bilancio.
Gli Anelli del Potere ha spaccato in due il fandom, tra chi scredita la serie per lesa maestà e chi invece l’ha apprezzata in quanto estensione in chiave moderna dell’universo tolkeniano. Riguardo alle critiche più feroci c’è un bel discorso da affrontare su più fronti, che qui naturalmente non approfondiremo, ma alla radice dei disguidi è importante circoscrivere la natura di Tolkien come un cristiano conservatore dei suoi tempi, ove il razzismo non solo era tollerato, ma addirittura in alcuni casi applicato a sistema. Non a caso Il Signore degli Anelli possiede un nostalgico spirito d’ancien regime che specchia una certa diffidenza reciproca tra le razze che popolano la terra di mezzo, ciascuna con la propria cultura e tradizioni orgogliosamente da preservare. Tuttavia non si può accusare Tolkien di fascismo poiché egli stesso in più occasioni dimostrò la propria contrarietà, tanto che in una lettera criticò aspramente l’impianto razziale del regime nazista e più volte parlò male di Hitler, paragonando il dittatore a Sauron. Semmai sarebbe più corretto sostenere che Tolkien detestava il progresso in quanto tale, quello che oggi definiamo globalizzazione, un aspetto condiviso con la comunità hippy d’oltreoceano degli anni ’70, portatori delle istanze di Tolkien in chiave love&peace. Tutto ciò per dire che il fantasy è per sua natura malleabile alle varie interpretazioni.
Ciononostante non hanno tutti i torti coloro che criticano Gli Anelli del Potere per un allontanamento dal canone in virtù di uno tsunami di inclusività adottato da Amazon mediante un cast multietnico e girl power, ma sapete che c’è? Chi se ne frega, d’altronde stiamo pur sempre parlando di una serie TV del 2022 che ha necessariamente bisogno di svecchiarsi e inglobare tutti, minoranze comprese, giustamente a ragion veduta. Stesso discorso vale per alcune modifiche sostanziali per ciò che concerne la cronologia degli eventi e le regole del gioco dell’universo tolkeniano, anche qui Gli Anelli del Potere riscrive alcune regole in funzione entertainment. Ma sapete che c’è? Avete capito.
Tecnicamente la serie è di pregiatissima fattura, gioca in un altro campionato rispetto a qualsiasi altra produzione seriale. Sul piano stilistico la Terra di Mezzo supera a tratti la scuola della trilogia jacksoniana, dalle miniere di Moria alla città portuale elfica di Lindon, ma è in particolare in Numeror che si raggiunge il massimo del livello qualitativo della produzione Amazon. Per chi non lo sapesse la serie è ambientata nella seconda era descritta nel Silmarillion, ove si racconta l’ascesa e la caduta dell’isola del Regno di Numeror, che per certi aspetti ricorda il mito di Atlantide.
Gli Anelli del Potere possiede una messa in scena potente e suggestiva che alla fine della giostra copre un po’ di pigrizia narrativa che inficia sul ritmo e l’interesse generale della prima stagione, e nondimeno mancano all’appello scontri all’arma bianca e battaglie in campo aperto degne di nota, ma c’è tempo per rimediare, e per il momento sospendiamo il giudizio in attesa delle prossime stagioni. Oggi ci basta festeggiare il ritorno dell’oscuro Signore.