Sei cresciuto a Hollywood, sei una macchietta di hipster, non vedi tuo padre da almeno trent’anni, ma un giorno arriva una lettera dal babbo, vuole finalmente incontrarti a casa sua, in Nuova Zelanda. Accade proprio in un momento in cui pensi che la tua vita sia uno schifo solo perché non hai punti di riferimento verso il basso, d’altronde sei nato e cresciuto dentro una bolla d’oro e dunque basta poco per deprimenti e pensare al suicidio. E adesso si presenta l’occasione di incontrare quel padre che ha abbandonato te e tua madre, nella speranza che in qualche modo possa salvarti da una vita apparentemente insignificante.
Buongiornissimo, come va? Al netto del grigio prologo, in realtà non è come sembra (Cielo! Mio marito!), Come to Daddy è un’opera divertentissima, un thriller-horror a forti tinte dark humour, il più delle volte sopra le righe. Un umorismo ben ritratto da quella continua espressione da ebete di Elijah Wood, rimasta identica dai tempi di Frodo, ma stavolta in circostanze diverse e dentro un ruolo più adatto alla sua aurea da cane bastonato.
Sul piano narrativo Come to Daddy inizia come un thriller, in un modo piuttosto canonico, in seguito diviene tante cose, vira sul versante horror nelle sue più variegate sfaccettature, dallo slasher al torture porn, con l’ombra del soprannaturale(!). Infine si conclude da opera indipendente qual è la sua natura originaria. E malgrado il rischio baracconata a causa di questa sua eterogeneità, nel complesso funziona perché c’è una sorta di collante che tiene uniti tutti gli aspetti. Pertanto procede in varie direzioni senza il terrore di incidentare in brutte figure (e non avviene), miscelando i generi e senza mostrare nessuna giustificazione delle sue azioni.
Una sicurezza di sé che proviene da un certo Ant Timpson, un debuttante over 50 a cui certamente non interessa di diventare “il nuovo Kubrik”, il pallino di tutti i giovani cineasti e croce che finisce con il seppellirli tutti sul nascere. Per tali motivi sopraelencati Come to Daddy merita indubbiamente una nota di merito, malgrado non sia l’unico ad aver eugeneticamente incrociato l’horror con la commedia, ma a ogni modo si discosta dal concetto di un cinema spesso percepito come un monolite di cemento armato e inamovibile, e che invece a quanto pare riserva ancora spazio a chi progetta con entusiasmo i propri sogni contorti.
Come to Daddy è una produzione neozelandese, lo dico solo perché ha dato i natali a Black Sheep, ma soprattutto perché ritengo sia giusto menzionare il contributo della New Zealand Film Commission, l’agenzia statale neo zelandese incaricata di sostenere i progetti cinematografici più promettenti del proprio paese, difatti da qui hanno iniziato la loro carriera cineasti come Peter Jackson e Taika Waititi con opere che in Italia non hanno nemmeno la speranza di ottenere un euro di finanziamento. Adesso sì che c’è da rattristirsi.