Tutti abbiamo visto nella vita almeno un film poco conosciuto ai più, escluso dai canali mainstream. Opere che però per qualche ragione sono rimaste impresse nella nostra memoria, e di cui ne parliamo solo con pochi intimi, magari allo scopo di preservarlo dalle critiche. Altre volte invece divengono una sorta di asso nella manica per una sfida all’O.K. Corral durante un’animata discussione cinéfila. In questi casi per essere ancora più letali è fondamentale conoscere la biografia del regista, maggiore sarà il grado di curiosità nei suoi confronti, maggiore sarà le possibilità di successo. Un esempio perfetto di idealtipo da usare per uno scontro all’arma bianca è Richard Stanley, che per chi non lo conoscesse è l’impersonificazione da manuale del cinema underground.
Cineasta e bandiera del cyberpunk anni ’90, con retrogusto anni’80, Richard Stanley è un tipo strano con la malsana passione di un cinema ispirato sia dai vecchi videoclip MTV e sia dai B-Movie in VHS. Il suo primo lungometraggio, Hardware, a tutt’oggi rimane una di quelle pellicole col tempo divenute cult, per una serie di ragioni poco comprensibili se non si contestualizza il personaggio e il periodo.
Rinnegato dal cinema che conta dopo esser stato allontanato dalle riprese de L’Isola Perduta (sul quale ci sarebbe una storia pazzesca da raccontare), dopo decenni di esilio è finalmente tornato tra noi con Colour Out of Space, opera tratta dal racconto de Il Colore venuto dallo Spazio di sua santità HP Lovecraft.
Non sappiamo come sia riuscito a trovare una collaborazione con Nicolas Cage e i motivi che abbiano spinto quest’ultimo a finanziargli il progetto, ma poco importa adesso, Stanley è tornato tra noi per mostrarci uno spicchio della sua follia.
Torniamo al film: Colour Out of Space è un film di genere alla vecchia maniera, da horror del martedì notte su Italia1 per intenderci, con un plot apparentemente non troppo articolato, tuttavia possiede scene piuttosto esplicite e un finale dal gusto retrò. Forse può sembrare roba da poco, magari lo è, ma oggi il coraggio di non avere nessun imbarazzo rimane una rarità (Emmerich sia lodato).
Stanley è un regista d’altri tempi e con questo titolo non nasconde il suo anacronismo cinematografico, però è quel tipo di cinema che oggi un po’ ci manca per effetto di una sana e genuina nostalgia, dato che Colour Out of Space è coerente con una visione di un cinema che ormai non c’è più.
Colour Out of Space non ha nessuna chance di diventare una pietra miliare dell’horror, fin troppo grezzo e al di sotto della media, ed inoltre a tratti mostra delle carenze sotto ogni aspetto. Non possiede incisività, manca quella tensione lì che ci aspetteremmo da un film del genere (almeno che non abbiate mai visto un horror in vita vostra).
Ciononostante alla rinfusa tiene incollati allo schermo, come una sorta di incantesimo, con quei suoi colori da videoclip pop anni ’90 e la sua atmosfera straniante. Il divertimento sta nella mancanza di una bussola, è un’opera imprevedibile poiché da Stanley ci si aspetta di tutto, e sappiamo bene che in mancanza di grosse pretese un cineasta ha mano libera per virare il suo progetto ovunque gli pare.
E infine non dimentichiamo la presenza di Nicolas Cage, un attore che negli ultimi vent’anni ha sbagliato tutto (eccetto per Il Cattivo Tenente), ormai ridotto a macchietta di sé stesso, eppure è quel tocco di follia metacinematografica che funziona. C’è una famiglia, una casa di campagna, un cane, degli alpaca, e poi c’è Nicolas Cage che interpreta sé stesso, in attesa che esploda.
Colour out of Space non è una di quelle opere facili da apprezzare senza intravedere la sue varie sfumature cinematografiche, difatti preso come horror a sé non dice nulla di nuovo, ma è sotto la prospettiva anacronistica che offre il meglio di sé, tenendo presente che è stato realizzato da una persona non mentalmente lucida.
Nascosto dietro quei colori, c’è il cinema più bello e genuino, gli Antichi lo sapevano da prima che l’homo sapiens inventasse la pellicola.