Ridley Scott è giustamente considerato come uno dei più visionari cineasti della sua generazione. Famosa è la sua cura maniacale per i dettagli, aspetti piuttosto evidenti in tutta la sua filmografia. Nel suo excursus storico si diploma in fotografia, diviene scenografo, e infine regista per spot televisivi. Esperienze che forgiano il suo stile ricercato fin dal suo primo lungometraggio: I Duellanti, pellicola a tema storico apprezzata sia dal pubblico e sia dalla critica, premiata al festival di Cannes. Un successo che diede a Scott la possibilità di girare una pietra miliare del cinema horror/sci-fi: Alien. Due colpi a segno che hanno spianato la strada per una delle opere più iconiche della storia del cinema: Blade Runner.
Blade Runner è la trasposizione cinematografica di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, celebre racconto di Philip K. Dick. Un romanzo sci-fi ove sono presenti alcune tematiche molto vicine alla sensibilità dello scrittore statunitense, come ad esempio il rapporto dell’uomo con il progresso, o l’essenza della natura umana. Argomenti che in Blade Runner risiedono sullo sfondo di un thriller noir, ambientato in una Los Angeles tetra e distopica, nel quale il mondo sembra vagare attorno al concetto di sopravvivenza. Proprio per le sue tematiche peculiari, Blade Runner dispone del privilegio di esser citato nelle aule universitarie e nei testi di filosofia, coerentemente con l’importanza degli argomenti trattati, che oggi più di prima hanno acquisito maggior rilevanza a causa di un’intelligenza artificiale sempre più sofisticata; un dibattito giocoforza strettamente legato al concetto di coscienza.
Cos’è la coscienza e quando possiamo definirla tale qualora provenga da una macchina in silicio? Quesiti che cercano delle risposte per adesso inesistenti. Può darsi che il problema risieda nella domanda in sé, o forse la questione andrebbe posta da un’altra prospettiva.
Nel merito della produzione, Blade Runner ha avuto un travaglio piuttosto complesso a causa del carattere non particolarmente mite del regista britannico, in particolare nei confronti dei dirigenti della casa di produzione, motivo per cui alla fine della giostra le modifiche furono numerose, alcune in modo ecclatanti e spesso non per scelte artistiche; ricordiamo l’aggiunta di un happy end forzatissimo e un voice over in funzione di spiegone. Aspetti successivamente tagliati con la Director’s Cut.
La Director’s ha inoltre aggiunto l’elemento dell’unicorno, che per molti rappresenta un momento cruciale, dato il suo legame con le speculazioni riguardanti la natura di Deckard, malgrado sia un’operazione intellettuale che appare a tutti gli effetti come un’interpretazione postuma.
Sebbene la natura di Deckard sia un interessante spunto di riflessione, resta il fatto che Blade Runner sia un gran film anche, e soprattutto, per il world building messo in atto da Ridley Scott e altre grandi artisti dell’epoca. Un world building ricco di suggestioni di una realtà ormai stantia, e nel quale solo i replicanti sembrano conoscere più degli umani l’importanza della vita stessa. Una percezione data anche da una sepolcrale Los Angeles dal tono decò-Cyberpunk, perennemente bagnata da piogge acide. Suggestioni che aumentano a dismisura grazie a una delle soundtrack migliori di sempre, realizzata da Vangelis.
Blade Runner è una dimostrazione in grande stile del lavoro visionario di Ridley Scott, che omaggia nel migliore dei modi il lavoro di Philip K. Dick, e per certi aspetti ne amplifica la portata. Spiace che sul piano più strettamente commerciale non abbia avuto il successo meritato, ed è stato solo col passare del tempo che ha giustamente ottenuto il suo status di grande opera del cinema contemporaneo, tanto da entrare nella top ten di tutti di qualsiasi cinéfilo. E malgrado negli anni molti autori abbiano provato a rubare pezzi delle sue suggestioni, Blade Runner rimane a tutt’oggi un’opera impareggiabile sotto molti aspetti, se non addirittura tutti.