“Suo figlio è intelligente, ma non si applica“, potremmo chiuderla qui con Black Phone e continuare a guardare reels di cucciolotti pucciosi e gente che si rompe l’osso del collo. Eppure l’ultimo film di Scott Derrickson partiva da ottime premesse: buon trailer; Ethan Hawke nei panni del cattivone; sceneggiatura tratta da un romanzo di Joe Hill, pseudonimo del figlio di Stephen King. Inoltre non dimentichiamo che nel background di Derrickson c’è un certo Sinister, uno degli horror più notevoli dell’ultima decade, sempre con quel feticcio di Ethan Hawke .
Black Phone è una storia di ragazzini scomparsi nei dintorni di una cittadina X della provincia americana. Nel caso specifico i protagonisti sono i figli pre-adolescenti di un alcolizzato, uno di loro viene rapito e rinchiuso in uno scantinato spoglio della qualsiasi, eccetto di un telefono nero apparentemente guasto.
L’opera di Scott Derrickson è un thriller che vuol darsi un tono da horror, ogni tanto ci ricorda quest’intenzione tramite qualche jumpscare attaccato a sputi. Ma non è un brutto film, anzi Black Phone è tecnicamente ben girato e gode di una soddisfacente messa in scena. È un thriller che gioca di tensione, dà continuamente la sensazione che da un momento all’altro si presenti un evento che cambi le carte in tavola e scombini tutto, qualcosa di superiore alle aspettative, un guizzo che però non arriva mai, proprio qui sta la più grande delusione di Black Phone. Derrickson opta per una linea piuttosto minimal, fin troppo però, povera di quei dettagli che contribuiscono a dare al cinema i connotati di un’esperienza. Una povertà di contenuti che colpisce anche l’aspetto soprannaturale, lasciato al caso e a dir la verità un po’ ambiguo, quasi da far venire il dubbio che non ci sia, nonostante tutti gli indizi conducano in quella direzione lì, giusto per rimpinguare un plot piuttosto lineare.
Spiace perché questo Black Phone firmato Blumhouse aveva indubbiamente il potenziale per salire qualche gradino in più nella scala del thriller psicologico à la MindHunter, peccato però che a quanto pare nessuno ci abbia creduto più di tanto e l’introspezione sia lasciata sullo sfondo a evaporare. Peraltro anche la stessa presenza di Ethan Hawke è al minimo sindacale; in scena sempre coperto da una maschera, quasi a chiedersi perché a questo punto non abbiano scelto per la parte un senzatetto a caso.
A pensarci bene Black Phone avrebbe lasciato il segno come singolo episodio di una serie TV crime, ma come opera stand alone fallisce nell’intento di essere ricordato dopo i titoli di coda. Ti vogliamo bene Scott, sarà per la prossima volta.