Arrival | Recensione

Arrival recensione

Arrival recensione

Un blockbuster d’autore, per quanto possa apparire un ossimoro in senso cinematografico, può esistere, difatti Arrival appartiene a questa ristretta categoria, in compagnia di un altro sci-fi come Interstellar, sebbene quest’ultimo possieda una natura più mainstream del sopra citato film di Denis Villeneuve.

Arrival non è un’opera di facile comprensione a una prima visione, sia sul piano narrativo e sia per il suo montaggio alquanto stratificato e su differenti archi temporali. Inizia come il classico degli sci-fi a tema extraterrestri: Una civiltà extraterrestre compare sulla Terra, ma senza un’apparente motivo, o perlomeno non comprensibile, a causa di una mancanza di comunicazione reciproca tra noi e loro. Ragione per cui la linguista Luise Banks e il fisico Ian Donnelly sono incaricati di trovare un canale di comunicazione. Un compito complesso, giacché richiede di comprendere un gergo concepito per travalicare lo spaziotempo.

Arrival recensione

Arrival non è il solito sci-fi, ma è un’opera più intima e complessa della media, nel quale l’introspezione gioca un ruolo fondamentale in modo piuttosto contorto. Ad esempio: Come ci comporteremmo dopo aver conosciuto il nostro futuro? Per quanto le risposte possano sembrare banali forse non lo sono, dal momento che ogni nostra decisione non proviene solo dalla razionalità, ma anche di emozioni provate in un dato momento e influenzate sulla base del proprio vissuto, insieme al carattere che ciascuno di noi possiede. Può anche darsi che pur conoscendo il nostro futuro vorremmo imbatterci negli stessi nostri errori a cui andremmo incontro, consci che debbano appartenere alla nostra esistenza per giungere a una nuova, e necessaria, fase della nostra vita.

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Arrival punta dritto a questo tipo di riflessione, con il linguaggio della fantascienza, che anche qui conferma il suo status di genere privilegiato per approfondire alcune tematiche sensibili in modo più concreto di quanto non riescano altri generi cinematografici. Tuttavia  non è solo un’opera di riflessione, poiché è anche un film di immagini suggestive, accompagnate dalle bellissime musiche di Jóhann Jóhannsson e Max Ritcher.

Denis Villeneuve dimostra con quest’opera di essere uno di quei rari cineasti capaci di unire il racconto d’autore (in questo caso tratto dal romanzo “Storia della tua vita” di Ted Chiang) con il prodotto commerciale, qual è prevalentemente un film sugli extraterrestri.