Se c’è una pellicola che merita l’appellativo di capolavoro senza possibilità di istanza, in modo oggettivo e scientificamente provato, la prima tra i giusti e senza ombra di dubbio Apolypse Now, icona della storia del cinema per cause di forza maggiore. Probabilmente il miglior film di guerra di sempre? Forse sì, superato solo dalla sua versione Redux.
Oltre ogni tipo di programmazione intenzionale, sia sul piano produttivo e sia sul piano registico, Apocalypse Now è il golem della cinematografia, un essere mitologico metà pellicola e metà esperienza psichedelica, una creatura scappata dalle mani del suo artefice come tutto ciò che possiede uno spirito indipendente. È il sublime che oltrepassa il mero scopo di business, salito così in alto tra i giusti tramite una fortunata casualità di congiunture impreviste, gravide di incidenti e drammi umani: dagli uragani che hanno devastato l’intero set fino a Francis Ford Coppola in procinto di suicidarsi. Inutile soffermarsi sui tanti retroscena, Apocalypse Now è una sinfonia di emozioni che non può essere sminuita da una lista di curiosità o dentro un’analisi di tecnicismi, ma è qualcosa che raggiunge l’iperuranio, inarrivabile a noi comuni mortali, a cui c’è concesso di ammirare solo da una certa distanza.
Sullo sfondo un racconto crudo e cinico della guerra del Vietnam. Una missione suicida, un viaggio on the road psichedelico, un odore di morte sempre più denso man mano che si risale il Mekong. Apocalypse Now è il racconto di una guerra sotto la prospettiva degli ultimi, come quei giovani spediti al macello per una missione più grande di loro, sebbene non abbia contribuito granché al progresso umano. Un’analisi socio-politica in linea con il pensiero di quella nuova generazione di cineasti della New Hollywood degli anni ’70.
Un viaggio straziante, una tensione crescente fino alla destinazione, tutt’intorno il meglio del cinema interpretativo, sceneggiatoriale, visivo, musicale. È il film totale sulla guerra, in cui il bene e il male perdono il loro significato dentro una scala di grigi, tocca le corde del pensiero più anti-militarista con l’ausilio della violenza fine a sé stessa, sebbene sia accompagnata da qualche giustificazione di sorta, e ciò avviene in particolare nella figura del Colonnello Kurtz, che rappresenta l’incarnazione degli istinti primordiali, l’orrore materializzato nel volto di Marlon Brando, una divinità che dopo una lunga attesa appare e rompe la quarta parete.
Apocalypse Now è un pietra miliare del cinema, difficile da imitare nello spirito per chiunque voglia sobbarcarsi in un’impresa del genere, nemmeno dopo anni di brainstorming, poiché possiede delle circostanze impossibili da replicare proprio a causa delle sue variabili impazzite e figlie delle incombenze piovute durante le riprese, palpabili dal sudore e l’espressione martoriata in loop di un Martin Sheen stratosferico dall’inizio alla fine.
Potremmo discutere all’infinito sui retroscena di Apocalypse Now, dato che la prima bozza è stata scritta da John Milius in persona, tratta dal romanzo Cuore di Tenebra dello scrittore anglo-franco-polacco Joseph Conrad, nel quale vengono descritte le barbarie del colonialismo. Potremmo anche aggiungere che il primo a interessarsi alla sceneggiatura è stato un certo George Lucas, per poi passare la palla a Francis Ford Coppola, fresco del successo de Il Padrino. Una sceneggiatura successivamente riadattata su misura dello zeitgeist del momento e il Vietnam sullo sfondo, eccetera, eccetera. Ma il punto è un altro: Apocalypse Now (& Redux) è la quintessenza del cinema sensoriale, ovvero tutto ciò di cui abbiamo bisogno, perché ci nutriamo di emozioni, perché non c’è niente di meglio dell’odore del napalm al mattino.