Waterworld | Recensione

Un film entrato nell’immaginario collettivo nel modo sbagliato, marchiato a vita come il più grande flop commerciale della storia, erroneamente Waterworld è tutto qui, nonostante sia rientrato nei costi di produzione grazie al mercato estero e all’home video. Ciononostante l’aurea di blockbuster sfigato incombe sul suo nome, in parte perché legato alle difficoltà di cui si è andati incontro per produrre Waterworld, complicazioni dovute ai problemi tecnici che hanno fatto schizzare il budget fino a raggiungere la cifra record di circa 175 milioni di dollari, un costo astronomico per l’epoca, ragione per cui ancora oggi in molti credono che sia stato un fallimento colossale.

La storia di Waterworld inizia negli anni ’80, da una sceneggiatura intenzionalmente rivolta per un progetto low-budget, proprio nel periodo in cui le pellicole a tema post-atomico raccoglievano un po’ di spiccioli ai botteghini. Nel corso degli anni la stessa sceneggiatura è stata rimaneggiata più volte, in particolare dopo che la Universal si interessò al progetto su richiesta del regista K. Reynolds e Kevin Costner. D’altronde il soggetto scritturato era piuttosto appetibile per qualsiasi mayor Hollywoodiana.

Non è difficile farsi un’idea di cosa sia Waterworld, giacché con Mad Max possiede molte affinità, eccezion fatta per la messa in scena acquatica invece del canonico deserto radioattivo. Spiace però che non ci sia traccia di una riflessione ambientalista sull’innalzamento dei mari, sebbene sia in parte giustificato dallo spirito dei tempi. Stesso discorso vale sulla parità dei sessi, dal quale il film di Reynolds appare immune.

Tuttavia Waterworld resta a tutt’oggi un valido blockbuster, grazie a delle buone idee alla base e scene d’azione particolarmente riuscite, che in fin dei conti sono gli aspetti più rilevanti per un prodotto di mero intrattenimento. Una cifra stilistica anni ’90 a tratti un po’ stucchevole, e un finale citofonato, non bastano per mettere in secondo piano i molteplici spunti interessanti del film, come l’atollo artificiale e la banda degli Smokers, fumatori incalliti alla ricerca dell’ultima terraferma rimasta intatta dopo la catastrofe ambientale. Le idee continuano: c’è un mutante capace di respirare sott’acqua, una petroliera devastata dall’incuria e Dennis Hopper intento a spaccare bottiglie in testa ai pargoli, se questa non è poesia.

Sotto una prospettiva mainstream a Waterwolrd non manca nulla, nemmeno per gli standard odierni e malgrado una fotografia a tratti schizofrenica (alba e notte nella stessa scena). Un film ingiustamente bistrattato e vincintore di un poker di Razzie Awards (Peggior film; regista; attore protagonista; attore secondario), ciononostante non credo che abbia nulla da invidiare ai blockbuster di oggi, più omologati verso i gusti del pubblico a discapito di una creatività semi-autoriale. Oltretutto Waterworld è anche unico nel suo genere, letteralmente, dato il contesto punk-acquatico. Insomma, imperdibile.