Verónica | Recensione

Recensione scritta da Tommaso Tronconi
blogger di onestoespietato.com

Paco Plaza è senza dubbio uno di quei registi che critica e pubblico hanno fregiato assai presto (forse troppo presto?) con l’onorificenza di “regista cult”. [Rec] e [Rec] 2, girati insieme all’amicone Jaume Balagueró, sono stati due grimaldelli molto forti per spalancargli le porte dell’horror che sa ancora incutere (un po’ di) timore. Ma la sfera del cult è un mondo a sé, croce e delizia per chi vi gravita intorno, poiché si rischia di rimanerci intrappolati. Infatti, da un lato si è forti del proprio stuolo di fan, dall’altro si è pur sempre parte di una nicchia che vede “fuori dalla finestra” il grande pubblico, al quale ancora non è si è arrivati. Veronica, disponibile su Netflix, è il film col quale Paco Plaza tenta di saltare il fosso, di gettare il cuore oltre l’ostacolo, pur rimanendo fedele alla propria indole originaria. Un film che, anche grazie alle 7 candidature ai Premi Goya (tra cui miglior film e miglior regista), cerca di portarlo nell’aura sacra dell’autorialità, del regista che diventa “autore”.

Come i film precedenti del regista spagnolo, Veronica si apre dicendoci che s’ispira a fatti realmente accaduti. I true events sono quelli del cosiddetto “caso Vallecas” del 1991, in cui una donna, Estefanía Gutiérrez Lázaro, morì misteriosamente dopo aver usato una tavola Ouija. Il film, ambientato proprio in quell’anno e nella capitale spagnola, Madrid, racconta di una ragazza adolescente che si ritrova tormentata da una malvagia forza soprannaturale dopo aver giocato a Ouija con due svampite compagne di classe. Durante la seduta spiritica qualcosa va storto, la luce salta, un bicchiere di vetro esplode, la tavola da gioco si spezza in due. Ma soprattutto Veronica inizia a non essere più la stessa.

Paco Plaza punta su elementi classici, consolidati nel “genere”: il gioco Ouija (su cui sono stati girati vari film, anche nel cinema orientale), la possessione demoniaca, forze non umane, ecc. E vi aggiunge una manciata di altri elementi che, all’apparenza marginali, sono in realtà importanti: un’eclissi di sole, una suora cieca, una ragazza che deve tirare su da sola le sorelline. Veronica tiene col fiato sospeso, intriga in più passaggi, ma non riesce a mantenere la tensione costante fino al finale che punta a ribadire l’origine reale di quanto ci è stato narrato. Paco Plaza lavora bene sulle atmosfere, su alcuni dettagli, e nell’uso della macchina da presa, diversamente dai film precedenti, si stacca dalla “soggettiva” sperimentando ripetuti rallenti, riprese aeree e qualche gioco con la luce che sa il fatto suo.

Pur non aspirando alla nomea di capolavoro (insomma non è né Babadook né The Witch), Veronica ha l’ardore di porci, in modo velato e misterioso, il tema del passaggio all’età adulta nelle griglie dell’horror. Punta sulla psiche dei suoi personaggi per arrivarne al corpo, a quelle mestruazioni che segnano il turning point della protagonista. Una “liberazione” che viene poi mischiata ad una freudiana invasività del ricordo di un padre che non c’è più. Insomma, c’è un lato psicologico non sempliciotto che cerca di aumentare lo spessore d’interesse da riservare ad un film che vuole alzare l’asticella non solo della paura.