The Hateful Eight | Recensione

Non potrò mai dimenticare la mia prima volta con Pulp Fiction, dato che per certi è un’opera che rappresenta un punto di svolta con il passato, nulla a che vedere con gli action testosteronici di moda nei primi anni ’90. Con Pulp Fiction l’ignoranza totale dei vari action hero veniva sostituita da lunghi dialoghi in cui si diceva tutto e niente, storie folli di gente folle, violenza unita a perle di saggezza. Col tempo abbiamo iniziato a dare a quel cinema l’etichetta del suo creatore.

Sono passati più di vent’anni, ma il cinema di Quentin Tarantino è rimasto piantato alle sue origini, motivo per cui Le Iene resta ancora adesso il manifesto più rappresentativo del regista del Tennessee.

E adesso arriviamo a The Hateful Eight, che per certi aspetti è una riproposizione de Le Iene in chiave western, difatti anche qui è tutto ambientato all’interno di un’unica location, analogamente a quanto visto ne Le Iene. Ma stavolta con il Far West sullo sfondo e una sperduta taverna chissà dove. Proprio in quel Far West che per Tarantino gode di un posto speciale nella sua formazione cinematografica, dichiarando a più non posso il suo amore per gli spaghetti-western.
Come ogni opera di Tarantino i dialoghi in modalità motherfucker mantengono la loro importanza, senza mai scadere nella banalità. Ogni personaggio è ben congegnato, con il suo vissuto e la sua attitudine legata al concetto di sopravvivenza. Ciascuno presenta una forte personalità inevitabilmente destinata a scontrarsi con i propri simili, in cui non c’è spazio per i deboli, ma soltanto per i figli di donne dai facili costumi.

Tipico esempio di figlio di una donna dai facili costumi

The Eightful Eight non è un film da un botta e via a causa della natura del minutaggio, ma diversamente da altre opere di Tarantino qui non si percepisce quella stucchevole sensazione di troppa carne al fuoco, poiché stavolta il minutaggio è funzionale allo sviluppo degli eventi. Tutto ciò è inoltre arricchito dall’interpretazione high-level di attori del calibro di Samuel L. Jackson e Kurt Russell, ovvero dei catalizzatori di attenzione umani che nel giro di pochi secondi cannibalizzano tutto. 

The Hateful Eight è chiaramente realizzato da un cineasta che ama il cinema, una passione espressa da Tarantino in tutte le salse nel giro di questi trent’anni, e chi ama il cinema può fare di tutto, anche prendere otto stronzi e fargli pronunciare quello che gli pare, tanto ne verrà comunque un qualcosa di notevole, un oggetto di conversazione mainstream. Ma la passione per il cinema da sola non basta per rendere un film indimenticabile, poiché è necessario anche il talento unito all’estro e il genio, attributi che a Tarantino di certo non mancano.