Splatters – Gli Schizzacervelli | Recensione

Prima di diventare il regista della trilogia de Il Signore degli Anelli, Peter Jackson aveva già alle spalle una lunga carriera ventennale costruita dal nulla, con budget centesimali e passione per la settima arte. Pellicole a oggi ritenute un must del genere di appartenenza. La lavorazione del suo primo lungometraggio, Bad Taste, è il classico esempio di come con tenacia e talento si possa raggiungere un sogno.
Bad Taste è un horror-comedy ad alto contenuto gore, tuttavia era solo un piccolo assaggio di ciò che il regista neozelandese ci avrebbe mostrato pochi anni dopo con Braindead (in Italia Splatters – Gli Schuzzacervelli), una vera e propria bomba atomica del genere horror-splatter.
Braindead è tutto ciò che vorremmo (o non vorremmo, dipende dai punti di vista) vedere al cinema. Uno splatter estremo, così esagerato da navigare perennemente sopra le righe, a tratti goliardico. Peter Jackson dimostrò già all’epoca di stare due passi avanti rispetto ai suoi colleghi, in tempi in cui l’horror era considerato tale solo se incorniciato in un contesto cupo e serioso.


La trama di Splatters vale quanto il direttore della fotografia di CentoVetrine: una madre oppressiva e gelosa nei confronti del proprio figlio viene morsa da una scimmia-ratto demoniaca che la trasforma lentamente in una specie di zombie, ed è la causa di un’epidemia nel quartiere. Semplice no? Tuttavia poco importa quanto sia sempliciotta la trama o se porti con sé la metafora del travaglio di un figlio pronto a divenire finalmente un adulto, quel che conta in Braindead è l’immagine che diviene sostanza, come del resto lo è tutta la filmografia di Peter Jackson. Ma d’altronde è anche vero che nulla vieta di trarne qualche contributo introspettivo.
Difatti se c’è un messaggio che possiamo estrapolare da Splatters – Gli Schizzacervelli, riguarda la condanna del materialismo. Una metafora simbolicamente rappresentata dalla devastazione fisica dei corpi, unico mezzo con cui percepiamo il mondo e il piacere esteriore. Deturpati, ghigliottinati, frullati, divisi a metà: l’uomo viene maciullato a brandelli e ridotto a una pagliacciata, nel contesto più dissacrante possibile come lo può essere solo un horror-comedy. Cos’è un corpo se non un insieme di ossa, muscoli e nervature che tenta di dare un senso alla vita? Lo ammetto: nulla prova che Jackson avesse queste bizzarri pensieri durante la stesura di Braindead. E in realtà poco importa, lo spettacolo è comunque assicurato.


Finito il pippone filosofico, condivisibile o meno, Splatters è una pellicola che tiene incollati allo schermo, in cui qualsiasi nefandezza gore avviene nel modo più esagerato ed esplicito possibile. Vedere corpi maciullati e ridotti a inutili orpelli è una festa degli appassionati del genere, difatti non c’è parte interiore del corpo che venga nascosta o messa in penombra. Gli effetti speciali sono realizzati alla vecchia maniera, antiquati già al momento dell’uscita nelle sale, ma con uno stile funzionale a ottenere quell’atmosfera di goliardia desiderata da Jackson e di cu parlavamo poc’anzi.
Braindead può essere descritto tramite superlativi: assolutamente geniale, esageratamente sanguinolento, inimmaginabile a quei tempi. Un pezzo di storia del cinema horror che rimane a tutt’oggi poco conosciuto nel nostro paese e in parte bistrattato dal momento che in molti ritengono le pellicole psichedeliche di Dario Argento l’unico horror degno di nota. Stolti.

Nemmeno a dirlo: Visione consigliata solo agli stomaci forti.