Seven | Recensione

La lista delle cose difficili da fare nella vita è molto lunga, alcune quasi impossibili, come quello di mangiare una pizza con l’ananas, oppure bere un milkshake prima di un pranzo a base di ostriche (ManVsFood), ma anche realizzare dei buoni thriller non è mica facile, difatti quelli buoni si contano con una mano, se poi sono anche belli-belli-da-morire allora significa che dietro c’è un grande cineasta, tipo David Fincher.

Il piccolo David nei primi anni ’90 era ancora un regista alle prime armi, nonostante avesse già realizzato quell’aborto di Alien 3 (dice di essersi pentito di averlo girato), tuttavia nel ’95 è stato l’anno della svolta con un thriller che gli ha cambiato definitivamente la carriera, un film che ha fatto la storia del suo genere delle ultime decadi. Parliamo di quel capolavoro di Seven (capolavoro, sì).

Seven è quel thriller che tutti ricordano grazie ai suoi morti ammazzati con cattiveria, e in modo plateale per mano di un certo John Doe (Kevin Spacey), un serial killer incline al cristianesimo da primo testamento. A quei tempi non era così usuale vedere corpi straziati all’interno di un thriller, e ad esser sinceri fino a oggi nessun altro è riuscito a colpire così duro.

Corpi straziati insieme a un’atmosfera generale piuttosto tetra e opprimente sono la combo perfetta. La fotografia ha un effetto soffuso e opaco, quasi soffocante, non c’è uno smarmellamento di luce nemmeno per un millisecondo, eccetto sul finale, paradossalmente.

Nella filosofia di David Fincher l’indifferenza e l’apatia sono il cancro della società contemporanea, non c’è spazio per l’ottimismo e i buoni sentimenti, chiunque provi a cercare altre vie rimane irrimediabilmente schiacciato dalla dura realtà circostante. Seven è impregnato di pessimismo totale, non c’è speranza, possiede  un’aura di logoramento dell’anima espletata visivamente dalla città in cui è ambientato il caso, con piogge scroscianti di Blade Runner memoria.

Tuttavia nonostante tutta questa tetraggine inondata da una sana dose di pessimismo, Seven è così splendidamente suggestivo che a dir la verità non trasmette una shitstorm di tristezza cosmica, ma anzi si rimane positivamente basiti di fronte una regia a tratti bucolica. Chapeau.

Una risposta a “Seven | Recensione”

  1. Perfettamente d’accordo. Si può fire che Fincher di Alien abbia realizzato un film…ma non è quello di alieno ha solo il titolo!

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