Senza Esclusione di Colpi | Recensione

Botte da orbi e un torneo di arti marziali clandestino sono la combo ideale per realizzare un action memorabile, perlomeno da queste parti, dato che le risse da bar sono il nostro pane quotidiano e il pomodoro ci piace anche negli spaghetti. Ancora meglio se il torneo non prevede nessun tipo di fair play e vi è il rischio di uscirne con tre gambe fratturate. Sottolineiamo: Un torneo clandestino, arti marziali, e un giudice di gara più inutile del viagra nell’ambito della riproduzione dei panda. Welcome to the favelas.

Bloodsport (in Italia “Senza esclusione di colpi“) rappresenta per Jean Claude Van Damme l’anticamera verso quel trampolino di lancio chiamato Kickboxer, pellicola che successivamente lo ha consacrato nell’olimpo dello star system hollywoodiano, un sogno che il giovane belga desiderava fin dalla nascita, pronto a vendere l’anima al diavolo dopo un viaggio d’oltreoceano di sola speranza, lavoretti disparati e notti a dormire in macchina insieme al suo amico belga-marocchino Michel Qissi (celebre nel ruolo di Tong Po).

Preghiera buddhista

La settima arte viaggia su altri confini, un luogo dove tutto è possibile, compresa la possibilità di vedere le proprie balle diventare un film, e Bloodsport n’è un esempio, dal momento che la sceneggiatura si basa sulle presunte vicende di Frank W. Dux, produttore/consulente di arti marziali del giro delle pellicole di terza categoria. Dux era solito raccontare di aver partecipato a un torneo clandestino di arti marziali a Honk Kong. Si spacciava anche come agente della CIA, tra le altre cose. Una storia tanto suggestiva quanto assurda, di fatto palesemente falsa, e dunque perfetta per gli standard della Cannon Group, ex-casa di produzione specializzata in pellicole low-budget da sempre abituata a raschiare dal barile le sceneggiature buttate nello scarico del cesso. La Cannon Group si prese carico di quella storia lì per realizzarne un film palesemente a basso costo, e poco importa se la vicenda fosse vera o meno. Alla regia c’è un certo Newt Arnold, primo assistente alla regia de Il Padrino – Parte II.

Come costruirsi una carriera dal nulla

Tuttavia c’è da rallegrarsi, Bloodsport è un gran b-movie, e senza le balle di Dux probabilmente oggi non avremmo avuto né Van Damme né quella soundtrack ottanteggiante che ancora oggi mi fa venir voglia di recuperare dall’armadio la mia Amiga 500 subito dopo aver ascoltato Fight to Survive.

Bloodsport è un action ignorante, senza sostanza, ma raffigura a chiare lettere tutto ciò che in quel periodo il mercato chiedeva, dal mainstream all’home video, con la maggior parte di essi finiti nel dimenticatoio. Ciononostante Senza esclusione di colpi si distingue da quella melma a basso costo grazie alla presenza carismatica di un allora sconosciuto Van Damme, un giovane di bell’aspetto e dai movimenti eleganti, peculiarità che lo differenziavano dai neanderthal statunitensi, ma pronto anche a trasfigurare il volto ogni qualvolta le circostanze lo richiedono, esattamente come uno Stallone qualsiasi. Bloodsport senza Van Damme non sarebbe la stessa cosa, questa è l’unica chiave di lettura, se proprio vogliamo considerarla in quanto tale. Ma Bloodsport è anche un circo equestre di lottatori così assurdo che inevitabilmente convince qualsiasi appassionato di roba trash e picchiaduro. Una specie di Marvel Cinematic Universe dei poveri.

Sodomizziamo

Oltre un giovanissimo Van Damme nel cast sono presenti Donald “Orco” Gibb de La Rivincita dei Nerd. Bolo Yeung, culturista, esperto di arti marziali ed ex-amico di Bruce Lee. Forest Whitaker, futuro premio Oscar, lì per caso. Con un budget di 2 milioni di dollari la pellicola incassò 65 milioni di dollari al box office, per la gioia della Cannon Group e di chi ha creduto nel progetto fino in fondo, cioè Van Damme e nessun altro.

Senza esclusione di colpi è figlio dei suoi tempi, raggiunge quella sorta di ammirazione effimera solo se hai vissuto il momento storico, ma è allo stesso tempo una storia di riscatto sia di un immigrato europeo alla ricerca forsennata del sogno americano, e sia per un cazzaro come Dux che ha visto concretizzare le sue balle in pellicola così da ingrassare a dismisura la sua mitomania. Welcome to the Los Angeles.