Scream | Recensione

Scream Recensione

Dieci anni dopo si ritorna a Woodsboro, la fittizia cittadina californiana resa celebre della saga di Scream in cui si respira aria di metacinema. Una saga partorita dalla mente di quel genio di Wes Craven, un uomo e un cineasta che non ha certamente bisogno di presentazioni. Oggi il caro Wes non c’è più e l’eredità che ha lasciato è enorme, come grande era la preoccupazione per questo nuovo capitolo di Scream. Preoccupazioni però svanite fin da subito, dato che questo Scream V, per gli amici solo Scream, diretto dal duo Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, è a tutti gli effetti uno dei migliori capitoli della saga dai tempi del progenitore. Non era un’operazione semplice come magari qualche stolto potrebbe immaginare, tuttavia i due giovani registi hanno carpito e assimilato lo spirito della serie e sono riusciti nell’impresa di rinvigorire un franchising che ribadisce con una certa sfrontatezza il suo senso di esistere, e come in fondo abbia ancora qualcosa da dire, poiché il cinema come il mondo si evolve e non sempre tutto va per il verso giusto, da qui si riparte con un’analisi dell’horror odierno, una roba che siamo sicuri sarebbe piaciuta a Wes Craven.

Eh già

Non è una novità: ogni capitolo di Scream rappresenta un modo per esprimere un certo disagio sull’industria cinematografica che gira attorno all’horror e i suoi cliché, e questo Scream non fa eccezione, tanto che stavolta è l’occasione non solo per prendere nuovamente di mira i reboot e i sequel (i primi considerati una blasfemia, i secondi solo un’inutile appendice), ma soprattutto per sfottere la nuova tendenza degli ultimi tempi: i requel (!), considerati da alcuni il modo più corretto per riprendere in mano una saga iconica, mentre per altri è la maniera più semplice per far cassa al box office. Il requel è una sorta di sequel che fa le veci di un reboot, a condizione che i nuovi personaggi siano accompagnati dai vecchi, e a patto che succedano esattamente le stesse cose viste nel capostipite. Badate bene che non è un’interpretazione estrapolata da chissà quale sottotraccia, ma è dispensata dal film stesso tramite un processo di metanarrazione, la stessa che durante gli ultimi eventi di Woodsboro lancia frecciatine rivolte a un certo tipo di horror “intellettualoide”, da hipsteraggio tout court.

Un po’ così

Ciononostante Scream urla con orgoglio il suo essere legato tra la tradizione e il rinnovamento, e chiede rispetto per i veri appassionati del genere. Se lo può permettere in considerazione del suo passato, d’altronde è grazie a Wes Craven se è stato possibile far conoscere l’horror a una platea mainstream cresciuta a pane e Beverly Hills 90210 prima, e Willy, il principe di Bel-Air dopo. Il primo Scream mise a nudo e ridicolizzato ciò che non funzionava più nello slasher-verse e indicato nuove frontiere, nonostante sia stato ascoltato solo in parte da una miriade di imitazioni che non capirono il benché minimo spessore del suo messaggio. Marchettate monouso giustamente sepolte e dimenticate a dispetto di Ghostface, che invece rimane ancora qui con noi, più meta e violento dei predecessori, con quella faccia un po’ così.