Mute | Recensione

Mute è il quarto lungometraggio diretto da Duncan Jones, famoso per aver girato anni fa quella piccola perla sci-fi minimalista di Moon, ma anche per essere il figlio di David Bowie. Ma bando alle ciance e andiamo subito al dunque, com’è questo Mute? Una merda.

Purtroppo il giudizio finale è piuttosto netto, non arriva alla sufficienza nemmeno con una profonda riflessione introspettiva di chissà quale tipo. Tra gli aspetti positivi vi sono un’accattivante messa in scena  di una futura Berlino cyberpunk,  anche se in realtà non aggiunge nulla di già visto dai tempi del capostipite Blade Runner.

Sul piano narrativo il film si divide in due, nella prima seguiamo Leo, un uomo muto (ma va?!) in cerca dell’amore perduto, sparita senza lasciare tracce. La seconda storia tratta la vicenda di due medici a lavoro per un organizzazione criminale. Due storie parallele destinate a trovare un punto di incontro. Un aspetto che dovrebbe creare una certa suspense, almeno a parole, che però non arriva mai, poiché è tutto realizzato in modo dozzinale, senza una regia all’altezza dei lavori precedenti. A ciò aggiungiamo una recitazione complessiva per nulla convincente. 

Si passa da una scena all’altra come se fossimo dentro un videogame, nel quale ciò che conta è andare avanti per finire il livello. Nell’intermezzo momenti introspettivi poco riusciti, dato che non si riesce a provare empatia per nessuno.

Tra un regia mediocre, la noia perenne, e uno scarso livello recitativo, il giudizio complessivo può essere solo negativo, insieme alla disperazione di aver perso del tempo inutile, in particolare dopo esser giunti a un finale pure peggio del previsto, senza una plausibilità narrativa e inutilmente forzato.