Mortal Kombat (2021) | Recensione

Meno interessante di una giornata all’ufficio anagrafe, dialoghi cringe, recitazione di basso profilo, ma ha anche dei difetti. Benvenuti nel nuovo Mortal Kombat. Da seguace della serie attendevo questa nuova trasposizione cinematografica con una certa trepidazione, perché sì l’ho ammetto, smanetto a Mortal Kombat dai tempi dell’Amiga, è sempre stato il mio picchiaduro preferito. D’altronde ero già avvezzo al genere dato che avevo spolpato Street Fighter II fino all’osso, però con Mortal Kombat è diverso, perché era (e rimane) più affine ai miei gusti personali, con quelle fatality scoperte per puro caso, dopo una vittoria con Scorpion e grazie a una fortuita combinazione di movimenti con il Joystick (ricordo ancora la combinazione: giù, giù, tasto).

Una tipica freddura

Mortal Kombat grazie alle sue peculiarità diventa un videogame di culto fin dagli albori, tanto che negli anni ’90 un giovane e sconosciuto Paul W. S. Anderson dirige il primo live action di MK, un titolo ben accolto dal fandom, malgrado un certo grado di bruttezza dozzinale, forte però di alcune scene d’azione degne di nota e una soundtrack techno che ancora oggi tutti ricordano. Diversa sorte per i due sequel, dispersi nel mare della mediocrità per l’home video.

Adesso sulla piazza si presenta un nuovo live action di Mortal Kombat, più violento dei predecessori e con una cifra stilistica maggiormente curata nei dettagli. Scritto e diretto da due principianti sotto la supervisione di James Wan. A dispetto del passato è un Mortal Kombat che ci crede di più, si prende sul serio, vuole stare insieme ai grandi, a tratti tira per il verso giusto tramite una sana dose di gore, e in particolare anche grazie all’ottimo character design di alcuni dei personaggi più iconici della saga, tra i quali citiamo Sub-zero, Scorpion e Kabal.

Spiace però che i buoni propositi finiscano presto, dal momento che tutto il resto non convince, nonostante MK non abbia chissà quali pretese, senonché le delusioni superano di gran lunga le aspettative innalzate dal trailer che ha preceduto la sua data di uscita. Difatti vi sono parecchie criticità da non sottovalutare, in primo luogo a causa di una trama scema e oltretutto incompleta sul piano narrativo, poiché questo MK appare a tutti gli effetti come un episodio pilota di una serie TV. È palese la fretta di creare un universo cinematografico spremi-soldini piuttosto stucchevole nelle intenzioni. Inoltre non aiuta un cast di perfetti sconosciuti che rimarranno tali anche in futuro, già finiti nel dimenticatoio di chi partecipa a film oggettivamente inconsistenti.

Merita un cosplayer

Il problema principale di Mortal Kombat è l’aurea di noia pervasiva che lo circonda, che a pensarci bene è un’assurdità per un live action che almeno sulla carta dovrebbe sputare adranalina in faccia a chiunque lo guardi, ciononostante percorre un’altra strada e perde tempo a mostrarci noiose sessioni di allenamento per un torneo solo suggerito e mai iniziato. Nel mezzo un supplizio di dialoghi ultra didascalici alla pari di un libretto d’istruzioni per lavastoviglie.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato nell’impalcatura complessiva dell’intero progetto, dato che avremmo fatto a meno degli spiegoni introduttivi dell’universo di Mortal Kombat a favore di più azione senza raziocinio, perché da MK ti aspetti sangue e mazzate, mica un pensiero critico.

Breve storia triste: Pensavo fosse una Fatality e invece era una Friendship.

2 Risposte a “Mortal Kombat (2021) | Recensione”

I commenti sono chiusi.