Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo | Recensione

Chi non ha mai avuto il desiderio di essere Indiana Jones? Da ragazzino ne ero ossessionato, un po’ come tutti, tanto che probabilmente la mia passione per la storia (con laurea a seguito) proviene per grazia della recitazione mono-espressiva di Harrison Ford.

L’Indiana Jones degli anni ’80 era qualcosa di superpazzesco®, un mix di action e avventura nato da un’idea di George Lucas e concretizzato dalle mani di Steven Spielberg, gli ex-re Mida di Hollywood. Inutile negarlo, Indiana Jones è uno dei personaggi cinematografici più iconici di tutti i tempi. Intoccabile, inarrivabile. Così almeno finché non è giunto a noi il nuovo quarto capitolo della saga, de botto, creando uno sconvolgimento emotivo a una generazione cresciuta a pane e frustrate. 

Sono già passati molti anni dall’arrivo nelle sale di Indiana Jones e Il Regno del Teschio di Cristallo, ciononostante la gran parte del fandom non ha ancora accettato la nuova avventura dell’archeologia più famoso di Hollywood, visto quasi come un atto ostile nei loro confronti. D’altronde è andata così, e adesso non resta altro che chiedersi se davvero questo nuovo capitolo sia quella merda di cui si parla oppure in ballo c’è dell’altro. 

La nostalgia spesso distorce i nostri ricordi, ne sono una prova i social network, con pagine e pagine di nostalgia clickbait. Biologicamente siamo inclini a ricordare tutti gli artefatti (e gli antefatti) della nostra gioventù per oro colato, anche quando probabilmente non lo sono. Un esempio su tutti riguarda la trilogia di Indiana Jones, del quale abbiamo solo bei ricordi, come se fosse esente da baggianate o momenti cringe oggi difficili da digerire per un blockbuster odierno. Ciononostante al Regno del Teschio di Cristallo non gli è stato perdonato nulla, sebbene il tutto rientri perfettamente nei canoni della saga. 

Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo è stato pensato e realizzato innanzitutto per compiacere un po’ tutti, come piace a Spielberg, sia per il fandom di vecchia data e sia per accattivarsi le nuove leve, con tutte le conseguenze dal caso si cerca l’apprezzamento di chiunque. 

Ma al netto dei suoi evidenti limiti, come una recitazione spesso sottotono, personaggi macchietta, e una fotografia da filmino matrimoniale anni ’90, tuttavia non si può non tener conto dei suoi pregi che rimandano alla cara vecchia trilogia. Alcune trovate sono più riuscite e altre meno, ma nulla di sconvolgente e comunque in linea con il canone della saga. Inoltre chiunque conosca Indiana Jones and the fate of Atlantis avrà notato alcune similitudini con Il Regno del Teschio di Cristallo.

Spiace solo che ci siano evidenti forzature allo scopo di portare avanti la trama a tutti i costi, a volte tramite momenti di assoluta implausibilità di tipo gravitazionale, come ad esempio il triplo salto mortale con mezzo avvitamento nella cascata. Probabilmente una volta non ci avremmo fatto caso, ma oggi i tempi sono cambiati, noi pure, e quell’ingenuità di una volta oggi è un problema.

La saga di Spielberg ci ha abituato a dei momenti action indimenticabili, e anche qui non mancano scene d’azione che tanto ricordano il miglior Indiana Jones, come il duello di spade in corsa nella giungla. Se proprio si deve far un’americanata, allora è giusto crederci fino in fondo. Detto/Fatto. 

Infine come non citare la presenza del tipico stile à la Spielberg, location patinate e atmosfera da villaggio vacanze per famiglie. 

In conclusione, Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo non è certamente il miglior capitolo della saga, ma nemmeno quella totale merda descritta dal quel fandom deluso dal ritorno del proprio beniamino e schiavo della nostalgia. In questo casi è utile contestualizzare un’opera dagli intenti di chi l’ha ideata, tenendo sempre in considerazione la realtà in cui oggi viviamo, molto ben diversa dall’atmosfera yuppie ’80/’90.