Dark City | Recensione

Sono già passati ben 20 anni dall’uscita di Dark City di Alex Proyas, regista australiano conosciuto ai più soprattutto per aver diretto Il Corvo con Brandon Lee. Dark City è arrivato nelle sale qualche dopo, all’incirca nello stesso periodo in cui vedevano la luce altre icone della fantascienza come Il Tredicesimo Piano e Matrix. Film col quale Dark City possiede più di qualcosa in comune.
[Spoiler] La città è una realtà fittizia contrapposta ad un’altra realtà ignota e velata al genere umano. Nella città oscura la popolazione vive a sua insaputa all’interno di una sorta di città-astronave, che di fatto è un laboratorio extraterrestre per studiare il genere umano al fine di scoprire il mistero dell’anima. Solo un uomo immune ai loro strumenti psichici comprenderà la realtà dei fatti e può agire di conseguenza. [Fine Spoiler]

Tra i punti di forza di Dark City vi sono certamente l’ambientazione e le atmosfere in stile noir, dai palazzi in stile deco’ all’onnipresente gioco di luci soffuse. L’elemento scenografico è studiato nei minimi dettagli e rimanda un po’ alla Gotham City di Tim Burton e in parte alla città degli abissi di Bioshock.

La trama di Dark City possiede degli spunti interessanti, però è mal strutturata, con pochi stimoli e dei corposi cali di interesse, tanto, troppi momenti morti, e peggiora verso il finale, senza una chicchessia scena madre. Inoltre l’anonima soundtrack non aiuta a migliorare granché la situazione, tra l’altro abusata per colmare dei vuoti narrativi.

Ma al netto dei suoi problemi strutturali, rimane uno sci-fi particolare per certi aspetti e per cui è giusto lasciargli uno spiraglio di possibilità, giacché possiede una sua atmosfera piuttosto suggestiva e dall’aria retrò.
Dark City rimane uno dei titoli di fantascienza più curiosi e interessanti della seconda metà degli anni ‘90, in buona compagnia con altri titoli come i già citati Matrix, Il Tredicesimo Piano e Gattaca. Dunque non fatevelo mancare alla collezione.