Creed II | Recensione

Nel 1976 non ero ancora nato, e me ne dispiaccio perché mi sono perso l’epoca d’oro della musica, quella degli ’80 (mai amato l’hard rock, sorry), o magari avrei potuto giocare a quell’Atari che non ho mai avuto, ma soprattutto non mi sarei mai perso Rocky al cinema, quel film che ha dato la possibilità a Sly di entrare prepotentemente nel mondo del cinema e non uscirne mai più.

Sono passati più di 40 anni da quel lontano ’76, nel frattempo il mondo è totalmente cambiato, ma Rocky, la roccia, sembra rimasto impassibile al mutare degli eventi, se non per qualche ruga in più sul viso che lo ha trasformato nel primo cosplayer di Renato Pozzetto.

Per quanto voglia bene a Stallone ammetto che più di una volta ho dubitato nei suoi confronti, motivo per cui non andai al cinema quando Creed uscì nelle sale. Ai miei occhi, col senno di poi quelli di uno stolto, era l’ennesima commercialata utile al fine di raccattare soldi a destra e manca tra i nostalgici dei tempi che furono. Probabile che in parte sia così, poiché il cinema rimane pur sempre un business, ma il primo Creed non è solo un raccata-soldini qualsiasi, dato che possiede un’anima, o meglio, un nuova appendice dello Stallone-pensiero. Grazie al successo di critica e i buoni incassi era inevitabile un sequel.

Adesso siamo arrivati a Creed II, con protagonista il simpaticissimo bimbominkia Adonis Creed, figlio di Apollo Creed. Primo quesito: Può funzionare la storia di un golden boy benestante e già campione del mondo grazie agli insegnamenti del buon Rocky? Sì, a patto che si trasmigri l’anima di Rocky nell’antagonista : Viktor Drago, figlio di Ivan. Malgrado al duo russo non dia stato concesso il giusto spazio che meritano, rappresentano indubbiamente l’anima drammatica del nuovo capitolo della saga. 

Ivan Drago è un uomo finito in disgrazia dopo la sconfitta contro Rocky trent’anni or sono. Ripudiato dalla moglie e lasciato in miseria insieme al figlio, al quale ha potuto offrirgli solo l’insegnamento della boxe. Per Ivan Drago la sfida sul ring di suo figlio contro Adonis rappresenta una sorta di rivincita, mentre per Viktor è una voglia di rivalsa di una vita travagliata, proprio la stessa di Rocky all’inizio della sua carriera. Spiace che questa storia parallela non sia stata approfondita più di tanto, giacché è l’aspetto migliore di Creed II.

Tecnicamente il film è una spanna sopra il primo Creed, le scene sul ring sono più dinamiche e molto più curate, forse le migliori mai mostrate in un film sulla boxe. L’ultima mezz’ora raggiunge vette di pathos da capogiro, dove lo Stallone pensiero diventa realtà: l’impegno, la sofferenza, l’ostinazione di uscirne vincenti. Tutto ciò da una prospettiva defilata di Stallone, che stavolta lascia maggior spazio agli altri, sebbene sia funzionale a un definitivo tramonto del suo personaggio più amato. E forse va bene così, non esiste migliore uscita di scena per il caro vecchio pugile italo-americano.