Codice: Swordfish | Recensione

Dagli anni ’90 a oggi sono passati tre decenni, ma nei fatti sembra passata un’era geologica, perché è cambiato tutto, in particolare la percezione nei confronti di certi aspetti che fino ad allora consideravamo marginali, come i computer e il web, che proprio in quel periodo stavano per iniziare la loro marcia verso la conquista del mondo. Ciononostante la diffidenza nei confronti delle novità era e rimane una costante, a causa dell’ostracismo di chi non accetta e condivide le dinamiche di una realtà sempre in evoluzione, rinchiudendosi nella propria bolla quotidiana.

Chi nei primi anni ’90 era in grado di usare un pc (come saper giostrare una semplice formattazione) era etichettato come un tipo strano, quando andava bene, o altrimenti un nerd nella sua accezione più negativa. Gli hacker (all’epoca detti più italianamente “geni del computer”) erano caricati di una mitologia ultraterrena, non a caso al cinema funzionavano da figure esoteriche capaci di estirpare tutti i mali del mondo tramite una velocissima sequenza di combinazione di tasti, come se la velocità fosse poi un aspetto fondamentale dell’hackeraggio. Dinamiche viste in Independence Day o X-Files, tanto per fare due nomi.

Nel 2001 arriva nelle sale Codice: Swordfish, action nel quale tutti i cliché sull’informatica vengono sbattuti in faccia con arroganza. Protagonista Hugh Jackman nei panni dell’hacker più geniale e velocissimo della Via Lattea. Le vicende iniziano quando il nostro viene contattato da una certa Ginger (Halle Berry) per conto di Gabriel Shear (John Travolta), in quanto si ritiene che le sue skill in ambito informatico siano il punto di partenza per un piano che consiste nel sottrarre e spostare miliardi di dollari da un conto all’altro mediante i poteri taumaturgici dell’hackeraggio. Insomma, cazzate. Ma dato che le narrazioni si basano sulla sospensione dell’incredulità chiudiamo un occhio e ci godiamo il resto del film, che male non è.

Codice: Swordfish al netto dei sui cliché è un buon action caciarone, in cui c’è uno spassoso Travolta in modalità “recitazione-automatica” in un ruolo sì più defilato, ma comunque degno di nota grazie a quelle mesh nei capelli. Le scene action fanno la loro porca figura con l’aiuto del bullet time e qualche simpatica trovata come il bus volante. E nonostante dei colpi di scena forzatissimi e alquanto inutili, alla fine della giostra porta a casa la pagnotta con molta onestà intellettuale. Spiace solo che a un cast così stellare non corrisponda un action più audace e con una propria identità, poiché se l’intrattenimento è assicurato, tutto il resto rimane in penombra.